franco battiato. la cura. perchè la copertina di alviani
Di Gaetano delli Santi
Perché la copertina. Di Gaetano delli Santi Perché a far da incipit a un libro che riguarda Battiato è una copertina di Getulio Alviani che in più riporta una sua duplice opera? Cosa hanno in comune l’ideatore plastico Getulio Alviani e il cantautore Franco Battiato?
L’opera cinetica di Alviani richiede un contatto interattivo con il fruitore: è la visione del fruitore che realizza l’opera nel momento in cui si dedica alla osservazione della sua evoluzione, che avviene a seconda della luce e dell’ambiente entro cui l’opera si trova a esser fruita. L’opera e il fruitore, secondo l’opera cinetica, devono agire reciprocamente. La musica di Battiato partecipa al contenuto dei testi. Musica e testo si rincorrono concordamente come due gocce d’acqua che cadano insieme (l’una diversa dall’altra: negativo/positivo; perfetto equilibrio fra contrari) in un unico punto -mùltiplo- di congiunzione. Sia il testo sia la musica richiedono (come l’opera cinetica di Alviani) un rapporto interattivo con il fruitore ovvero non è possibile viverli sino in fondo se il fruitore non li frequenta analiticamente.
L’opera cinetica di Alviani, basata prevalentemente sulla geometria base, spezza la fruizione intimistica, istintiva, rugiadosa: essa mira a una partecipazione non psicologica, ma mentale, raziocinante… in quanto il fruitore deve guidarsi nell’opera. La musica di Battiato, se si intende goderla a fondo, richiede un approccio di tipo esplorativo. Individuare correlatività fra testo e musica, fra ritmi e contenuti non è possibile per mezzo di un ascolto a orecchio, ma attento, fondato sulla ragione: dev’essere, insomma, da ricognizione.
Né l’arte cinetica di Alviani, né la musica di Battiato richiedono un’interpretazione sentimentale. Esse rifuggono sia dalle emozionalità fluttuanti, sia dagli approcci gravati da una visione psicologica. Né tantomeno le loro opere si fondano su un modus operandi che abbia richiesto un percorso mistico per la loro realizzazione.
Se il mistico si abbandona totalmente alla contemplazione, al rapimento, scendendo in segreto e isolatamente nel proprio io… in profondità, l’autore di contro controlla razionalmente la propria materia, perché questa va progettata per poter essere successivamente/succintamente plasmata, insieme alla visione che egli ha del mondo. Tale prassi richiede un contatto dialettico -corporeo e mentale- con la materia: affinché l’autore arrivi a conoscere la materia per poterla plasmare, deve lasciare se stesso, dimenticare il proprio io, dialogare con essa mutuamente. Tutto ciò si traduce, allegoricamente, nell’andare incontro all’altro, al mondo. Per fare ciò… l’autore deve frequentare la materia, con cui ideare l’altro da sé, viaggiare in essa, alla ricerca della sua sostanza. E in essa… sprofondare e riemergere, portando con sé ciò che ha attinto dalle sue profondità. Con ciò che ha colto dalle sue profondità realizza, forma, compone, dando origine a qualcosa di nuovo per ampliare il concetto di percezione del fruitore. Se il godimento che il mistico trae dalla propria contemplazione è condivisibile solo ed esclusivamente con se stesso, quello dell’autore è condivisibile con gli altri. L’autore condivide con gli altri ciò che ha fatto; partecipa al benessere spirituale altrui.
Ora, se prendessimo in esame sia la maniera con cui Alviani realizza le sue opere cinetiche, prendendo spunto da ciò che la sua visione (razionale-scientifica-relativistica) del mondo gli suggerisce, sia la capacità di Battiato di mettere insieme la materia tutta significante della sua musica con il significato e il significante dei testi, ottenendo due mondi che convergono in Uno (pluralisticamente), sia l’analisi approfonditamente condotta da Paolo Jachia e Alice Pareyson sulle parole utilizzate da Battiato per la propria musica, non potremmo fare a meno di affermare che tutto ciò andrebbe associato a un valore spirituale, da intendersi, non a caso, nell’accezione di Kandinskij (Lo spirituale nell’arte):
La vita spirituale, di cui l’arte è una componente fondamentale, è un movimento ascendente e progressivo, tanto complesso quanto chiaro e preciso. È il movimento della conoscenza. Può assumere varie forme, ma conserva sempre lo stesso significato interiore, lo stesso fine.
È indubbio, per dirla con Luigi Pareyson (Estetica)
che il contatto operativo con la materia dell’arte ha un aspetto di preparazione interiore, con cui l’artista atteggia artisticamente la propria spiritualità e al tempo stesso la definisce e precisa alla coscienza: nell’arte ogni moto interiore è una cadenza formativa e ogni ritmo stilistico è un’esperienza di vita spirituale.
Non va però trascurato il fatto che l’autore perviene alla spiritualità per mezzo della coscienza, poiché non può fare a meno di discernere per poter attribuire alla concretezza del materiale la possibilità di divenire forma e contenuto condizionanti: la materia deve essere funzionale alla forma, la forma al contenuto. Il contenuto è chiamato a sprigionare movimento, a muovere in fuori, o a far sì che si esprima in potenza (tramite spinta che affiori pulsando dall’interno). Ed è dall’interno che sorge la spiritualità: condizione propedeutica all’esigenza di attuare un’azione da condurre in una forma quale sostanza attiva dell’espressione della forma stessa. Di conseguenza, se gli autori di questo libro sembrano dirci che nell’arte si muove la conoscenza, poiché essa va verso la conoscenza; dunque, nel conoscere la conoscenza entro cui l’arte si muove, l’arte ci porta alla conoscenza di sé; se Alviani e Battiato, con il loro operato hanno sollevato riserve per la concezione di un’arte introflessa, operante solo in rapporto con il proprio sistema, fine a se stessa, chiusa in sé… è perché tutto ciò ha a che fare con quel mandato sociale, inconfondibilmente avanguardistico, inteso da Majakovskij come unica possibilità per l’arte di avere una sua ragion d’essere… in questo mondo.