Autore e data di composizione: Testo e musica di Francesco Guccini – 1964
Periodo/Successo Credo in primo luogo sia importante ricordare attraverso le parole di Guccini medesimo la genesi di questa canzone: “Nel 1964 era nata la Équipe 84… Maurizio Vandelli, Victor Sogliani, e Pier Luigi Farri, i leader del complesso, modenesi come me… sapendo che io scrivevo canzoni… mi chiedevano altro materiale. Per invogliarmi e darmi qualche riferimento, un giorno mi regalarono FREEWHEELIN, secondo album di un per ancora sconosciuto menestrello americano di nome Bob Dylan. ‘Blowin’in the wind’, ‘Masters of war’, ‘A hard rain’s goona fall’… canzoni di decisa protesta contro l’establishment politico-militare americano furono uno sconvolgimento senza precedenti,, sia formale che culturale…
Dylan era insieme un altro modo di veder la vita e un’altra musica… Profondamente influenzato da quel disco scrissi diverse canzoni ed in particolare, oltre a ‘Auschwitz’, ‘Dio è morto’, tutte canzoni fra l’apocalittico e l’esistenziale di perfetta matrice dylaniana. (cfr. Guccini in Cotto 1999, p. 59 e M. Bernardini, 1990, p. 17). Guccini dunque sulle orme di Dylan non si limita alla condanna del nazismo e al racconto del passato ma allarga la condanna ad ogni guerra ed allude probabilmente al dramma della guerra in Vietnam, allora in corso. Ora se di fronte a tutto questo Guccini ha parole molto dure (“No io non credo / che l’uomo potrà imparare / a vivere senza ammazzare”) è vero anche che il cantautore non rinuncerà mai all’impegno e alla speranza e continuerà a cantare anche l’altra sua grande canzone prima citata “Dio è morto”: “ai bordi delle strade… nelle auto prese a rate… nei miti dell’estate Dio è morto; / … / nei campi di sterminio… coi miti della razza… con gli odi di partito Dio è morto; / … / Ma io penso che questa mia generazione è preparata / a un mondo nuovo a una speranza appena nata / ad un futuro che ha già in mano a una rivolta senza armi / perché noi tutti orami sappiamo che se Dio muore è per tre giorni e poi risorge / in ciò che noi crediamo… in ciò che noi vogliamo… nel mondo che faremo Dio è risorto”.
Commento Non sono molte le canzoni italiane dedicate ad Auschwitz. Io ne ricordo due: una, splendida come quasi tutte le sue cose, di Juri Camisasca cantautore amico di Franco Battito dedicata alla martire ebrea cristiana Edith Stein, l’altra di Francesco Guccini dedicata alla storia terribile ed emblematica di un anonimo bimbo morto e bruciato nel famigerato campo di sterminio nazista (il 27 di gennaio, data della liberazione dei prigionieri di Auschwitz, è stata proclamata dal Parlamento italiano giorno del ricordo e della memoria). Una storia-simbolo delle altre sei milioni di vittime dell’orrore hitleriano. Una canzone che conquistò subito il consenso unanime di cattolici, comunisti, anarchici, libertari… Un testo semplice, immediato, fatto di brevi, scarni versi, sostenuto per lo più da rime facili, ma che per tutto questo diviene
non solo artisticamente e retoricamente efficace ma in grado anche di esprimere una forte e sincera commozione poetica.
Echi letterari. Per Guccini in questo periodo la prima fonte ispirativa musical-letteraria sono le canzoni di Bob Dylan… E per rispondere alla domanda se le canzoni di Bob Dylan siano o no letteratura, credo possa bastare la sua candidatura al premio Nobel per la letteratura fatta negli anni scorsi. Credo dunque non solo che il quesito vada sciolto in senso affermativo – Bob Dylan è arte – ma anche – faccio una profezia facile – che prima o poi davvero il cantautore americano vincerà il premio Nobel: Dario Fo insegna. Intanto a Guccini hanno dato il premio Montale, un poeta che lui ha avuto sempre presente come d’altra parte Gozzano e i crepuscolari.
Influenze sulla musica successiva: Le influenze di Guccini sulla musica successiva sono state principalmente di due tipi. Nel corso degli anni Settanta – dei quali la sua “La locomotiva” fu la colonna sonora – Guccini è stato il simbolo del Cantautore Politicizzato (icona nella quale si è persa un po’ di vista una sua non meno autentica vena poetica più melanconica e crepuscolare). Nel passare dei decenni è poi divenuto un punto di riferimento per tutti coloro che non pensano la musica e i musicisti come uno star-sistem ma come un modo di fare – se non sempre arte – sempre almeno cultura e coscienza critica. Di lui ha detto il filosofo e romanziere di fama internazionale Umberto Eco: “Vince sempre Guccini e non solo perché conosce le tecniche e ha un bel repertorio di rime salvagente, ma perché Guccini è un cantore di vaste pianure, non è un velocista, è un Bartali che macina sulla montagna e vince tenendo duro sui lunghi percorsi”.