Il pellegrinaggio del viandante – vaniloquio sulla poiesi. Sacro e profano.
Il sacro e il profano: due nuclei apparentemente inconciliabili eppure complementari l’uno all’altro, le cui esistenze sussistono perchè volte al reciproco smascheramento.
Il sacro e il profano come due viaggi i cui protagonisti sono rispettivamente un pellegrino e un viandante entrambi alla ricerca della verità e delle motivazioni profonde dell’esistenza, due artisti le cui opere rispecchiano i percorsi mentali ispirati dai due viaggi, due uomini che si confrontano con l’arte che prende vita da queste esperienze.
Il pellegrino interviene su ciò che incontra liberandolo dal superfluo al fine di ottenere il riscatto dell’essenza, il viandante, invece, raccoglie tutto ciò che di fastidioso e persino repellente trova sul suo cammino, ovvero tutto ciò da cui si è portati a distogliere lo sguardo.
Il pellegrino ricerca la propria autenticità spirituale mediante l’autoanalisi e la riflessione sui rapporti che governano le relazioni umane, scandaglia il nucleo essenziale di ogni aspetto di se stesso e della vita, anela al raggiungimento della Sostanza e, forse, in ambito creativo, potrebbe essere alla ricerca dell’universalità espressa in ogni suo singolo gesto.
E se si provasse a ricondurre tutto ciò a rappresentazioni di arte visiva, la sacralità potrebbe essere figurata attraverso un’opera che è il riflesso del viaggio dell’artista alla scoperta dei fondamenti dell’esistenza, esplorazione che non comporta necessariamente una presa di coscienza da parte di chi la esegue, proprio perchè risulta essere un processo attuato attraverso la mediazione dell’inconscio e che risponde ad un’esigenza interiore non definita e soprattutto senza pretesa di finalità.
Che cos’è quindi la sacralità? È forse la ricerca del proprio spirito incontaminato, l’osservazione del germoglio di noi stessi che è rimasto serrato da una scorza spessa e rigida costruita negli anni. Questo processo è forse frutto di una ribellione incontrollata al sistema in cui ci si è imposti di vivere, per questo motivo non è esercitata a livello conscio, ma istintivo e compulsivo. L’opera artistica, come rappresentazione dei moti interiori di chi l’ha posta in essere, si sviluppa dalla sostanza dell’arte quale bisogno dell’uomo di manifestare la propria esistenza rendendola percepibile anche nella sua trasposizione incorporea. L’opera così generata non nasce dalla volontaria esigenza di comunicare, ma dalla pura (sacra) urgenza di trascendere la mera percezione fisica. Non è scopo dell’artista, durante l’atto della creazione, rendere partecipe il viaggiatore di quanto pensa, sente o immagina. La sacralità di questo agire affonda le proprie radici nella primordiale necessità dell’uomo di sopravvivere alla propria zona oscura, quella che egli stesso razionalmente non comprende: l’energia che lo pervade e che in momenti ispirati si acuisce amplificando i sensi ed accorciando le distanze che separano l’uomo da Dio.Il viandante è invece colui che vuole esperire il mondo, scrutare le fondamenta dell’esistenza, viaggiare per nutrirsi delle esperienze al fine principale di comunicare. Egli necessita di relazionarsi con il mondo in cui vive per appropriarsi dei contorti meccanismi che lo dominano, per percorrere il groviglio di fatti che lo compongono fino a raggiungerne il bandolo. Poi egli regala ad altri ciò che ha intuito, afferrato, o scoperto e su cui ha lungamente meditato, al fine di indurre chi lo segue a riflettere e, talvolta, ad agire in reazione alle emozioni che sono affiorate da questo confronto. La profana spedizione attorno ai fatti, alle esperienze, potrebbe quindi essere tratteggiata da opere che suggeriscono riflessioni, denunciano comportamenti e pongono il viaggiatore di fronte a se stesso e alle proprie realizzazioni.
L’artista-viandante sente l’urgenza di scrollare l’immobilità dalle proprie spalle; egli aspira, inoltre, a fornire gli strumenti della conoscenza e comprensione col fine utopistico di portare la coscienza dei propri fruitori ad uno stato di veglia perpetua.I due viaggiatori sembrano muoversi quindi in direzioni opposte: il primo si eleva alla conquista dell’infinito mondo che inizia dal suo corpo e prosegue nello spirito fino all’intuizione della divinità, la sacra Entità da cui si dipana il lungo filo rosso che cinge la vita di ognuno. Il secondo viaggiatore resta saldo a terra ribellandosi alla consuetudine di fluttuare a mezz’aria propria dell’essere umano il quale spera che questa mancanza di contatto faccia dimenticare, o renda impercettibili, i turbamenti del sistema in cui vive. Siffatto viaggio è un moto tutto discendente: uno schianto sulla corporeità del sistema in cui nasce e muore ogni ciclo della vita. Si immagini di trovarsi, a fine caduta, abbracciati alla terra con la guancia lì appoggiata a riconoscerne la freddezza e l’umidità , il calore e la rugosità, l’odore fresco di erba e quello pungente della putredine, la stessa infezione che è il grembo dell’esistenza.A questa caduta verticale si contrappone l’ascesi del pensiero che, in puro spirito, si svincola dal corpo, involucro finitamente perfetto quanto impreparato a contenere sensazioni tanto ineffabili e sfuggenti quali i moti d’animo che portano l’uomo all’innalzamento di sé. Che cosa può ritrarre questa esondazione di percezioni? Qual è la “scrittura” che sa essere capace di rievocare appieno questo viaggio? Questa allegorica ascesi può corrispondere in arte allo scioglimento della forma definita, riconoscibile: l’astrazione della realtà che vuole essere corrispondenza ai sensi e penetrazione delle idee. La forma, non più mimesi, nega la propria appartenenza a qualsiasi specificità e si consegna ai suoi fruitori come espressione dell’inconscio da assimilare attraverso un lungo percorso di contemplazione. Nello stesso tempo tale affrancamento può essere raffigurato da forme d’arte che astraggono non l’aspetto formale, ma al contrario le potenzialità figurative della rappresentazione condensando l’idea sacralizzandola. L’immagine, così mistificata, non è unicamente rappresentativa di un concetto o di un pensiero, bensì latrice di universalità.Contemporaneamente l’artista è colui che si pone come strumento di verità e analisi della realtà: la realtà tangibile, corporea, la zavorra del viaggiatore da cui è tentazione umana cercare di svincolarsi. Il compito dell’artista assume quindi finalità esistenziali, etiche e politiche. Chi più dell’artista può vivere come propria responsabilità le conseguenze di un irrisolto travaglio umano? Chi più di lui è in grado di cogliere, sviscerare i conflitti del nostro tempo senza contaminazioni imposte dal Potere? É dunque la figura dell’artista ad essere la più attendibile: il medium che è in grado di spiazzare tutti gli altri, corrosi, corrotti e più spesso asserviti ad ambizioso arrivismo che votati a ideali. Il viandante-uomo, nel percorrere il proprio metaforico cammino, è appesantito da una morsa continua e fastidiosa della mano di un altro claudicante se stesso che preme sulla propria spalla per poter continuare a procedere. Il viandante è ora diviso tra la consapevolezza di poter avere un ruolo attivo e determinante nel susseguirsi degli eventi e la tentazione di liberarsi dall’ormai insostenibile peso che porta.L’elevazione dello spirito avviene solo se vi è un momentaneo affrancamento dalle perturbazioni terrene, ma è pur vero che il sacro momento dell’ascesi trova alimento nei profani turbamenti carnali; il corpo si contorce alla vista della carcassa che diventerà eppure necessita di vederla per raggiungere quel limite che lo indurrà ad elevarsi slegandosi da ogni peso.Il sacro e il profano vivono l’uno dell’altro, si sfamano vicendevolmente e si ripudiano per poi ricongiungersi in un ciclo perpetuo.L’arte che si scinde secondo queste due polarità è la sintesi dell’esistenza. Da un lato l’elevazione, la spiritualità, l’inconscio, l’ineffabile percezione dei sentimenti. Dall’altro il corpo, i sensi ad esso legati, le ripercussioni dell’agire umano, la stanchezza delle membra e la sofferenza che ne deriva. Sacro e profano sono imprescindibili l’uno per l’altro e compenetrazioni della stessa esistenza tutta atta alla ricerca e repulsione di sé.
Elisa Fongaro