1. MODUGNO E LE NUOVE PROPOSTE DEGLI ANNI CINQUANTA
Cos’è la “canzone d’autore”? Quando e dove si può dire che sia nata? Momento simbolico, ma significativo, di affermazione della nuova canzone italiana, può essere il 31 gennaio 1958, quando Volare di Domenico Modugno vince il Festival di Sanremo e soppianta la tradizione melodica melodrammatica. Fino ad allora la canzone sanremese era quella del tono enfatico e della dimensione irreale ed evasiva; dopo di allora troviamo un nuovo modo di impiegare la voce e di pensare la canzone, più vicina alla gente, alla sua realtà ma anche ai suoi sogni. Senza l’uso espressivo e creativo della voce, della sua inflessione e dei suoi “difetti”, caratteristico di Modugno, non si potrebbe capire l’evoluzione della canzone italiana verso voci ancor più distanti dai modelli stereotipati del cosiddetto “bel canto” (come quelle di Buscaglione, Paoli, Battisti). Ma il successo di Volare a sua volta non si spiegherebbe indipendentemente dal “personaggio” Modugno, con la sua capacità espressiva attoriale e teatrale, con la sua intensa e immediata credibilità umana.
Dopo di lui, agli esordi della moderna canzone d’autore e nella medesima linea dell’unità e dell’intima coerenza di testo, musica e interprete troviamo Fred Buscaglione, Renato Carosone, Fausto Amodei e il suo Cantacronache, cui facevano riferimento, come autori di canzoni, poeti e scrittori quali Franco Fortini e Italo Calvino
2. LA NUOVA CANZONE D’AUTORE E LA “SCUOLA DI GENOVA”
Non c’è mai stata una “scuola di Genova” in senso proprio. Ma è esistito, agli inizi degli anni sessanta, un gruppo di artisti che si rifaceva in parte agli chansonniers francesi in parte al jazz e al rock, e più in generale alle musiche provenienti dall’America, e che nel suo complesso non era omologabile ai canoni della canzone commerciale tradizionale. Ciò che accomuna Gino Paoli, Luigi Tenco, Bruno Lauzi, Sergio Endrigo, Umberto Bindi, Piero Ciampi, e che si può riconoscere dietro tutti i capolavori di questa “scuola”, è la riscoperta della quotidianità, e la conseguente capacità di raccontare la realtà in un modo che va controcorrente rispetto ai canoni evasivi e dolciastri allora consueti. I cantautori degli anni sessanta sono stati infatti protagonisti di una rivoluzione, prima che artistica, etica e linguistica, hanno cercato parole sentite e adeguate per dire la vita di tutti i giorni, i sentimenti e gli incontri dell’esperienza quotidiana. L’uso della voce, la scelta della lingua, i sentimenti essenziali che queste canzoni evocano vanno dunque in tale direzione. D’altronde l’innovazione era nell’aria: bastava abbandonare le frasi fatte e, più semplicemente, raccontare la vita.
3. LE EMOZIONI DI MOGOL E BATTISTI
La collaborazione di Mogol (alias Giulio Rapetti) e Lucio Battisti data dal 1966 al 1980. Il canzoniere che ne è il frutto è caratterizzato da un modo nuovo di parlare d’amore e di sentimenti, da un’inedita descrizione dei rapporti fra donne e uomini d’oggi. Accanto alla musica di Battisti, dove rock, “soul” afroamericano e melodia italiana si fondono, e alla sua voce, calda, sporca e sofferta, troviamo così il linguaggio “quotidiano” di Mogol, un italiano facile e di impianto “cinematografico”, con dialoghi, flashback, immagini sempre vive ed efficaci. La quotidianità cronachistica e sentimentale costituisce dunque il centro della poetica di Mogol-Battisti e in essa echeggiano le trasformazioni esistenziali di quegli anni. Il loro mondo è uno dei più lucidi e disperati paesaggi contemporanei: non c’è altra realtà al di fuori di questa, borghese e capitalistica, con tutte le sue contraddizioni, e non resta che descriverla in tutti i suoi aspetti, feroci e drammatici o anche solo sciocchi e confusi. Ma la forza delle canzoni di Mogol e Battisti sta proprio nel tono – laico, lucido, disincantato, a tratti persino anche sarcasticamente allegro – di questa descrizione, e nel libero sperimentalismo letterario e musicale che ne scaturisce.
4. PIANGO E RIDO, CI RAGIONO E CANTO: LE POETICHE DI JANNACCI E GABER
In principio era Dario Fo: un presenza fondamentale nella storia e nella formazione di Giorgio Gaber e di Enzo Jannacci, amici e complici in un sodalizio che dura dagli anni cinquanta. Il Fo attore e autore di teatro e grande interprete di monologhi ha infatti profondamente influenzato il Gaber autore e attore. Nel suo “Teatro Canzone”, frutto della collaborazione con Sandro Luporini, Gaber sviluppa un pensiero critico demistificante, fatto dell’irrisione polemica di ogni falsa coscienza, di ogni arroccamento in miti e ideali fasulli. Con Enzo Jannacci, Fo ha collaborato direttamente ed è a partire dal loro incontro che Jannacci porta in scena quell’umanità dolente, emarginata e stralunata che sarà tanta parte del suo canzoniere. Nella sua ultratrentennale carriera Jannacci, che ha frequentato tutti i generi musicali, rimane quello che era fin dall’inizio, “uno che canta i disgraziati”.
5. LE STORIE DI DE ANDRE’ E I VIAGGI “METAFISICI” DI PAOLO CONTE
Fabrizio De Andrè e Paolo Conte e stanno a cavallo di un’epoca: su un versante c’è il tempo dei cantautori genovesi degli anni sessanta e sull’altro l’inquietudine della scena musicale contemporanea. Entrambi partono dalla realtà, ma le loro poetiche restano chiaramente distinte. Quella di De Andrè a maggior ragione può essere definita una poetica di impianto realistico, quella di Conte è in ultima istanza un poetica evocativa e sognante. Così De Andrè ha narrato le vicende piccole e grandi della nostra storia recente, dalla morte di Luigi Tenco e di Pierpaolo Pasolini al dramma delle minoranze zingare, palestinesi, “sioux pellerossa”, dalla stagione del Maggio francese e delle bombe italiane alla cronaca di mafia e dei tangentari degli anni ottanta e novanta. Da anarchico ha insomma sempre descritto l’eterna lotta contro il cinismo del potere fatta non solo da libertari di ogni razza e colore ma anche da prostitute, vagabondi, drogati, alcolisti, ladri e assassini, insomma i “povericristi” di sempre. Se per quest’ultimi vi è sempre in De Andrè un tratto di condivisione esistenziale, per il potere e i suoi servi De Andrè non ha altro tono che il sarcasmo più sprezzante. Conte invece canta un universo metafisico: attraverso il richiamo a un’immagine del reale descrive una dimensione ulteriore, un posto mitico e primigenio che sta dentro di noi, e tra misteri, viaggi, incanti, velate insinuazioni egli ricerca sempre l’altrove nelle pieghe della quotidianità: “cerco un po’ d’Africa in giardino, tra l’oleandro e il baobab”.
6. LA POETICA DI FRANCESCO GUCCINI
“La locomotiva” è stata la colonna sonora degli anni settanta: con questa canzone ha inizio il duraturo successo personale di Francesco Guccini e si afferma la figura del cantautore “impegnato”, legato cioè a un progetto di rinnovamento etico, sociale e politico. Guccini si fa interprete delle esigenze delle nuove realtà giovanili influenzate dal Sessantotto e dalla protesta studentesca, rivitalizzando i valori delle tradizioni cattolica, anarchica e comunista, e apre una strada per uscire dalla forte crisi artistica e musicale di quegli anni. Fa tesoro delle lezioni della “scuola di Genova”, rimasta ferma a un clichè ormai datato, e del cosiddetto “beat italiano”, incapace di competere con la produzione angloamericana, e vi unisce quelle degli chansonniers e di Bob Dylan, e giunge a proporre una nuova figura di “cantastorie”. Al centro della sua antidogmatica e ironica visione del mondo pone l’esaltazione della libertà, dell’intelligenza, della risata “carnevalesca”, a cui tutto è lecito, anche mescolare gli estremi, la vita con la morte, la gioia e il dolore, la libertà e la spregiudicatezza inventive con la serietà professionale e la responsabilità etica e politica.
7. LA POETICA DELL’APPROFONDIMENTO EVOCATIVO DI R.VECCHIONI
La chiave di volta dell’opera di Roberto Vecchioni è costituita dalla scelta di “capire gli uomini e le idee”: da questo proposito etico discendono le sue scelte artistico-musicali, i suoi miti politici e i suoi obiettivi polemici. Vecchioni è in realtà il nostro cantautore più “letterato”: egli infatti traspone sempre la propria vicenda personale e individuale attraverso i più disparati riferimenti storici, geografici, letterari. In ultima analisi dunque la “ricostruzione storica” è funzionale allo scavo interiore ed è quindi sempre caratterizzata da una fortissima identificazione autobiografica. Questa tecnica di “approfondimento evocativo” è connota dunque da un apparente allontanarsi da sè, dal simulare di parlare d’altro, per giungere invece sempre più vicini a se stessi e alla propria verità. Le medesime tecniche artistiche e gli stessi presupposti etico-polticii, non a caso, ricorreranno, oltre che nel cantautore Vecchioni, nel Vecchioni poeta e romanziere.
8. DAL SETTANTA AL DUEMILA: DALLA, DE GREGORI, FOSSATI
Tre nomi simbolo – Lucio Dalla, Francesco De Gregori, Ivano Fossati – che sono emblematici della crescita della canzone d’autore italiana e della sua compiuta affermazione come piena espressione artistica. Dalla racconta il presente con la forza della semplicità e l’icasticità del mito: con parole di una povertà e di una forza evangelica parla di amore, allegria, disperazione, inquietudine, e ogni suo verso e ogni storia diventano una moderna parabola dell’uomo d’oggi. De Gregori alterna e mischia fantastico e reale, letterario e politico, e con ciò offre una risposta etica oltre che artistica alla crisi di valori contemporanea. Fossati si serve dell’immagine e della metafora del viaggio per gettare lo sguardo nell’interiorità dell’uomo, svelandone limiti d’egoismo e slanci di generosità, in un ideale di impegno e attenzione verso il prossimo. A modo loro, tutti e tre, con la loro carica etica, da figli degli anni settanta divengono il tramite per la storia della canzone verso il duemila.
9. L’OMBRA DELLA LUCE. LA POETICA DI FRANCO BATTIATO
La ricerca umana e artistica di Battiato muove dalla meditazione, dal raccoglimento, dal silenzio, in direzione di un cambiamento etico e spirituale. La sua canzone, apparentemente lontana dalla realtà storica contemporanea, è in realtà “impegnata”, tesa al riscatto terreno dell’uomo e alla riaffermazione della sua dimensione spirituale. E’ responsabilità umana cercare un principio di salvezza nella spiritualità, e Battiato si impegna in tal senso accogliendo nella sua opera e nel suo pensiero gli influssi artistici e musicali più disparati, le suggestioni culturali delle più diverse provenienze. Con un atteggiamento laicamente religioso fonde tra loro molte filosofie, indaga la cultura e le tradizioni di differenti popoli e continenti. Indica insomma, con estremo rigore sperimentale, la via di un futuro multietnico e cosmopolita, perché universale, anche nella musica.