Memorie di Giulia
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¶Quel letto d’ottone in cui mi accoglievi giovinetto,
il radiogrammofono che prendeva tutto,
quando ti portavo in quel caffè «prego, fragole con panna» dicevo
e superbo ti guardavo mentre l’altro mi ricambiava con disprezzo sogghignando verso te.
E la tua foto che portai tanti anni addosso
prima che un cassetto l’accogliesse e la sbiadisse,
seppi della tua morte
e rividi i tuoi boccoli e sul tuo viso la sorte.
La mia memoria trae fuori i ricordi da un cappello
senza che io sappia perché questo e non quello.
¶Ho avuto delle gioie. Talvolta si dormiva tutti e tre io tua madre e te
nello stesso letto ma che innocenza, che santa trinità era un gesto d’affetto e di rispetto.
O memoria perché mi inganni,
perché come se fossi vento mi butti questa polvere negli occhi, accarezzavo le tue ginocchia e il tuo semplice cuore era contento.
Ho avuto delle gioie, sì.
Ti ricordo così,
povera Giulia, gaia e ridente.
¶Impaziente mi aspettava la vita,
mentre il vento frizzante del mattino, si portava via ogni cosa. Avevo diciassette anni.
Memorie di Giulia è l’unico pezzo autobiografico di tutto il disco L’imboscata. Parla di una donna che Sgalambro ha conosciuto molti anni fa e che morì giovanissima. È l’episodio più classico di tutto l’album.
Fermo il contenuto biografico e l’esplicitazione del contenuto della vicenda, Battiato non dice perché sia l’episodio più «classico» de L’imboscata e perché l’abbia così profondamente coinvolto. Noi crediamo sia perché «Giulia» è la «Silvia» di Battiato-Sgalambro fin dal titolo: Memorie di Giulia pare, in realtà, una ripresa del primo verso di una delle più dense e belle poesie di Giacomo Leopardi A Silvia: «Memorie di Giulia» vale infatti «Silvia, rimembri ancor», ovvero: «Giulia, hai ancora memoria?».
A conferma il fatto che tanto nella poesia di Leopardi quanto nella canzone è centrale proprio il gioco della memoria, del muoversi della mente tra passato e presente. Data questa prima traccia, ma ancora sul piano logico-lessicale, ancora più evidente è quel «gaia e ridente» che rimanda al leopardiano «Quando beltà splendea / Negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi».
Comune è anche l’età magica dei protagonisti: «giovinetto» in Battiato- Sgalambro; «limitare / di gioventù», e «giovanezza» in Leopardi. Ma una giovinezza vista da una distanza ormai siderale, come da un tempo ormai perso e irraggiungibile. In effetti, e complessivamente, tutto il testo di Memorie di Giulia, come quello leopardiano, è pervaso da nostalgiche suggestioni, espresse dai verbi coniugati all’imperfetto e al passato remoto. Non solo, ma entrambi i testi sono scanditi dall’alternarsi di momenti narrativi e di momenti di disincantata riflessione esistenziale.
Di seguito quindi alcuni accostamenti.
Memorie di Giulia è l’unico pezzo autobiografico di tutto il disco L’imboscata. Parla di una donna che Sgalambro ha conosciuto molti anni fa e che morì giovanissima. È l’episodio più classico di tutto l’album.
Fermo il contenuto biografico e l’esplicitazione del contenuto della vicenda, Battiato non dice perché sia l’episodio più «classico» dell’Imboscata e perché l’abbia così profondamente coinvolto. Noi crediamo sia perché «Giulia» è la «Silvia» di Battiato-Sgalambro fin dal titolo: Memorie di Giulia pare, in realtà, una ripresa del primo verso di una delle più dense e belle poesie di Giacomo Leopardi A Silvia: Memorie di Giulia vale infatti «Silvia, rimembri ancor», ovvero: «Giulia, hai ancora memoria?»
A conferma il fatto che tanto nella poesia di Leopardi quanto nella canzone è centrale proprio il gioco della memoria, del muoversi della mente tra passato e presente. Data questa prima traccia, ma ancora sul piano logico-lessicale, ancora più evidente è quel «gaia e ridente» che rimanda al leopardiano «Quando beltà splendea / Negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi».
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Silvia, rimembri ancora / Quel tempo della tua vita mortale, / Quando beltà splendea / Negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi.
Che pensieri soavi, / Che speranze, che cori, o Silvia mia! / Quale allor ci apparia / La vita umana e il fato! / Quando sovviemmi di cotanta speme, / Un affetto mi preme / Acerbo e sconsolato, / E tornami a doler di mia sventura. / O natura, o natura, / Perché non rendi poi / Quel che prometti allor? perché di tanto / Inganni i figli tuoi?
Io gli studi leggiadri / Talor lasciando e le sudate carte, / Ove il tempo mio primo / E di me si spendea la miglior parte, / D’in su i veroni del paterno ostello / Porgea gli orecchi al suon della tua voce, / Ed alla man veloce / Che percorrea la faticosa tela
Sonavan le quiete / Stanze, e le vie dintorno, / Al tuo perpetuo canto, / Allor che all’opre femminili intenta / Sedevi, assai contenta / Di quel vago avvenir che in mente avevi. / Era il maggio odoroso: e tu solevi / Così menare il giorno
Questa la sorte dell’umane genti / All’apparir del vero / Tu, misera, cadesti: e con la mano / La fredda morte ed una tomba ignuda / Mostravi di lontano
gaia e ridente
O memoria perché mi inganni, / perché come se fossi vento mi butti / questa polvere negli occhi?
Quel letto d’ottone / in cui mi accoglievi giovinetto, / il radiogrammofono che prendeva tutto, / quando ti portavo in quel caffè / ‘prego, fragole con panna’ dicevo / e superbo ti guardavo mentre l’altro / mi ricambiava con disprezzo sogghignando / verso te… Talvolta si dormiva tutti e tre / io tua madre e te nello stesso letto / ma che innocenza, che santa trinità / era un gesto d’affetto e di rispetto
accarezzavo le tue ginocchia / e il tuo semplice cuore era contento… gaia e ridente… avevo (avevamo ndr.) diciassette anni.
E la tua foto che portai / tanti anni addosso prima che un cassetto / l’accogliesse e la sbiadisse, / seppi della tua morte / e rividi i tuoi boccoli / e sul tuo viso la sorte…
La «lacrimata speme», la delusa speranza «cara compagna dell’età mia nova» di Leopardi rivive così nel più distaccato annuire della canzone: «Ho avuto delle gioie, sì», ma si sottintende anche che esse siano irrimediabilmente perdute. Il tono nostalgico di entrambi i testi si rivede poi nelle esclamazioni patetiche: «che pensieri soavi, che speranze, che cori, o Silvia mia! Quale allor ci apparia la vita umana e il fato» in Leopardi; «che innocenza, che santa trinità» in Battiato-Sgalambro. Ma non è solo questo, anche la speranza cade: «All’apparir del vero / Tu, misera cadesti» in Leopardi, così come, in Battiato-Sgalambro, è portata via dal vento insieme ad ogni cosa. «Il vento frizzante del mattino / si portava via ogni cosa». Del resto, forse, questi due versi possono allora essere accostati all’epilogo completo: «All’apparir del vero / Tu, misera, cadesti: e con la mano / La fredda morte ed una tomba ignuda / Mostravi di lontano» dove il vento vale, ancora una volta, come segnale di precarietà e transitorietà di tempo e di «vita mortale». Rimandando al nostro commento a Decline and Fall of the Roman Empire, ricordiamo del Qohelet almeno l’incipit, ovvero le parole ebraiche «havel havelin», variamente tradotte come «vanità delle vanità» o «polvere di polveri», in coerenza al passo successivo: «tutto viene dalla polvere e tutto torna in polvere».
Di Sgalambro si veda anche il passo: «gli eventi… come se provenissero da quella ‘lontananza’ in cui tutto sarà polvere».
Dato tutto questo, Sgalambro dice (cfr. intervista in calce) che canzoni come queste sono piccoli lieder «d’alleggerimento» e, in effetti, non ci troviamo di fronte ad uno dei testi più impegnativi scritti dal duo. Perché Battiato allora accetta con assoluto entusiasmo il testo proposto da Sgalambro che ne è probabilmente il maggior autore? Perché Leopardi è tout court uno dei poeti più amati da Battiato, come egli stesso afferma nell’intervista a Luca Cozzari (riportata in calce). Proviamo allora a dare conferma di questa predilezione segnalando alcuni di questi «incroci» e «climi comuni» seguendo, in parte, Luca Cozzari.
Frammenti
La donzelletta vien dalla campagna in sul calar del sole… d’in su la vetta della torre antica passero solitario cantando vai… finché non muore il giornoSummer on a solitary beach
Mare mare mare, voglio annegare / portami lontano a naufragareSummer on a solitary beach
lontano un minatore bruno tornava
Tramonto Occidentale
mi piace osservare i miei concittadini specie nei giorni di festa
Temporary road
solitario me ne vo per la città / l’aria calma dei dì di festaLe sacre sinfonie del tempo e Breve invito a rinviare il suicidio
Guardando l’orizzonte, un’aria di infinito mi commuove anche se…
Anatol, p. 91
Un giorno bisognerà certo spararsi ma intanto viviamo… Vi autorizzo a uccidervi, sì, ma solo in un momento di gioia
Il sabato del villaggio
Passero solitario
L’infinito
e il naufragar mi è dolce in questo mareLa sera del dì di festa
lunge il solitario canto dell’artigian che riede a tarda notte… al suo povero ostelloIl sabato del villaggio e La sera del dì di festa
il dì festivo
dì della festaPassero solitario, Il sabato del villaggio e La sera del dì di festa
L’infinito
Sempre caro mi fu questo ermo colle, / e questa siepe, che da tanta parte dell’ultimo orizzonte il sguardo esclude ma…Operette morali, Dialogo di Plotino e Porfirio
Dichiarazioni
Poi ho fatto altre canzoni, ‘Memorie di Giulia’ o ‘Un vecchio cameriere’ o ‘È stato molto bello’ o altre cose che sono dei piccoli lieder, in effetti, dove si esprimono emozioni umane.
[INTERVISTA DI SGALAMBRO, INCONTRO CON SGALAMBRO, PERELANDRA, 3/4 GENNAIO-AGOSTO 2002, P. 115]
Che cos’è una canzone per lei, professor Sgalambro?
Un alleggerimento che considero doveroso. Dobbiamo sgravare la gente dal peso del vivere, invece che dare pane e brioches. Questa volta, mi sono sgravato anch’io. E poi, la musica leggera ha questo di bello, che in tre minuti si può dire quanto in un libro di 400 pagine o in un’opera completa a teatro. [INTERVISTA DI SGALAMBRO, MARINELLA VENEGONI, COSÌ SGALAMBRO CANTA LA SUA FILOSOFIA, LA STAMPA, 20/10/2001]
In altri testi ho notato anche una certa vicinanza con Giacomo Leopardi, penso a ‘Summer on a solitary beach’.
Bravissimo, lei ha citato uno dei poeti che amo di più. Leopardi per me è musica pura. Può capitare però, anche involontariamente, che la scrittura di una grande vada a riempire quello spazio che è in attesa di essere stimolato. In maniera soprattutto inconscia… credo si possa comunque parlare di certi climi comuni, più che di influenze di stile.
[LUCA COZZARI, BATTIATO, ZONA, AREZZO, 2005, P. 31, E 102, 110 ECC.]