Personalità empirica
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¶Il faut abandonner la personalitè pour retrouver votre «je» Changer dame cheval et chevalier
Changer d’habit baton et penseé
(retiens la nuit pour nous deux jusqu’à la fin du monde).
¶Quando non coincide più l’immagine che hai di te
Con quello che realmente sei
E cominci a detestare i processi meccanici e i tuoi comportamenti E poi le pene che sorpassano la gioia di vivere
Coi dispiaceri che ci porta l’esistente
Ti viene voglia di cercare spazi sconosciuti
Per allenare la tua mente a nuovi stati di coscienza
¶Quand l’image que tu as de toi ne coincide plus avec ce que tu es réellement
Quand tu commences à hair les automatismes de ta facon d’agir
Et quand les chagrins prennent le pas sur la joie de vivre,
Avec les peines que nous apportent l’existence,
Et tu vas chercher des espaces inconnus,
Pour une nouvelle conscience.
Personalità empirica è un inno alla ricerca di «nuovi spazi sconosciuti», per conoscere nuovi «stati di coscienza». Dalla coscienza dei propri automatismi (termine piuttosto bergsoniano), e dalla sopraffazione della «joie de vivre» da parte dei dolori, nasce una spinta a liberarsi da ogni meccanicismo e, pirandellianamente, dall’inganno dell’esistenza che provoca null’altro che dolore. In breve: uscire dal sé per (ri)trovare il sé. Opportuno però, per iniziare la nostra riflessione su questa canzone-trattato, proporre in primo luogo la traduzione dal francese dei passi che costellano il testo.
Personalità empirica è un inno alla ricerca di «nuovi spazi sconosciuti», per conoscere nuovi «stati di coscienza». Dalla coscienza dei propri automatismi (termine piuttosto bergsoniano), e dalla sopraffazione della «joie de vivre» da parte dei dolori, nasce una spinta a liberarsi da ogni meccanicismo e, pirandellianamente, dall’inganno dell’esistenza che provoca null’altro che dolore. In breve: uscire dal sé per (ri)trovare il sé. Opportuno però, per iniziare la nostra riflessione su questa canzone-trattato, proporre in primo luogo la traduzione dal francese dei passi che costellano il testo.
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Il faut abandonner la personalitè pour retrouver votre ‘je’ / Changer dame cheval et chevalier / Changer d’habit baton et penseé / (retiens la nuit pour nous deux jusqu’à la fin du monde).
Quand l’image que tu as de toi ne coincide plus avec ce que tu es réellement / Quand tu commences à hair les automatismes de ta façon d’agir / Et quand les chagrins prennent le pas sur la joie de vivre, / Avec les peines que nous apporte l’existence, / Et tu vas chercher des espaces inconnus, / Pour une nouvelle conscience.
Dovete abbandonare la personalità per ritrovare il vostro ‘io’ / Cambiare dama cavallo e cavaliere / Cambiare abito bastone e pensiero / (trattieni la notte per noi due fino alla fine del mondo).
Quando l’immagine che tu hai di te non coincide più con ciò che tu sei realmente / Quando cominci ad odiare gli automatismi della tua maniera d’agire / E quando i dolori prendono il sopravvento sulla gioia di vivere / con le pene che ci provoca l’esistenza / e tu vai a cercare degli spazi sconosciuti, / per una nuova coscienza.
Poi è da notare che nella canzone non si intrecciano solo le lingue ma anche la sapienza psicologica e religiosa («dovete abbandonare la vecchia personalità per riscoprire il vostro vero io») con quella più propriamente filosofica. Infatti se i versi che dicono «quando l’immagine che hai di te non coincide più con ciò che tu sei realmente» rimandano probabilmente alla gnoseologia kantiana ben conosciuta da Sgalambro, è però anche vero che il substrato filosofico più rilevante è quello che si riconnette a Gurdjieff, grande maestro di Battiato.
Per inciso, e come provvisoria esemplificazione di questo vastissimo argomento parallelo, possiamo ricordare alcune delle locuzioni e concetti che da Gurdjieff passano in Battiato con o senza Sgalambro: «l’Egitto prima delle sabbie», «centro di gravità permanente», «organizza la tua mente in nuove dimensioni», «la luna scende i gradini per prendermi la vita», «shock addizionali», «nuovi stati di coscienza», ecc. (cfr. New frontiers, Chan-son egocentrique, Shock in my town, Personalità empirica, ecc.).
O possiamo ricordare che il Caffè de la Paix immortalato nella canzone omonima era il caffè dove Gurdjieff incontrava, a Parigi, i suoi discepoli… o il legame evidente, in un’opera complessa e fortemente esoterica come Genesi, tra la vicenda narrata e gli insegnamenti del «Maestro armeno» (cfr. Pomponi, 2005, pp. 81-135).
Utile allora riportare quanto Walker scrive citando le parole di Uspenskij, grande collaboratore e seguace di Gurdjieff stesso, sul metodo principale utilizzato dal maestro:
Il nostro lavoro (di conoscenza di noi stessi ndr.) deve iniziare abbandonando l’idea che conosciamo noi stessi e scoprendo quello che realmente siamo. Questo era un preliminare necessario per diventare qualcosa d’altro se, dopo esserci conosciuti un poco meglio, non apprezzavamo alcune delle cose che avevamo visto.
Inoltre Uspenskij nella sua elaborazione dei principi e concetti assorbiti da Gurdjieff riceve anche quello del meccanicismo dell’uomo, che non possiede volontà ma è una macchina preda del mondo esterno che lo plasma, in quanto dotato di un controllo su di sé minimo o nullo.
Dunque diviene necessario cercare «spazi sconosciuti» cioè funzionali alla scoperta e all’esperienza di una nuova coscienza. L’uomo si sveglia dal sonno che la sua coscienza vive ogni giorno solo quando non vuole più essere schiavo delle proprie sofferenze, alle quali è morbosamente (nevroticamente) attaccato. Cioè soltanto quando, dice Gurdjieff con un’allegoria, giunge allo stato superiore dell’autoricordo. Qui infatti possiamo esercitare un qualche controllo sulle nostre reazioni meccaniche e sulle nostre emozioni. Nel nostro consueto stato di sonno siamo invece cocchieri privi di redini con cui controllare i cavalli. Dove il cocchiere è la mente, le redini sono strumenti, i cavalli le emozioni. Dobbiamo dunque abbandonare l’idea che conosciamo noi stessi e scoprire ciò che realmente siamo, perché in preda alla paura della nostra precarietà, giustifichiamo ogni nostra azione, pensiero e sentimento pretendendo di aver ragione mentre gli altri avrebbero torto. È proprio questo, presumibilmente, il senso dell’espressione «l’immagine che hai di te / non coincide più con quello che realmente sei».
L’uomo è una macchina che reagisce ciecamente alle forze esterne, esso perciò è privo di volontà ed esercita un controllo minimo o nullo su di sé. Ciò che dobbiamo studiare non è psicologia –giacché questa è adatta soltanto per l’uomo sviluppato– ma meccanica.
Insomma, la natura dell’uomo è meccanica ed egli vive a un basso livello di coscienza. Ribadiamo che tutte queste sono idee fondanti della dottrina di Gurdjieff, e l’ultima in particolare intende riferirsi all’esistenza di quattro stadi di coscienza dell’uomo. Noi uomini ne conosciamo soltanto due, uno è il sonno e il secondo quello che viviamo di giorno, lo stato «semi-desto». Vi sono poi due stadi superiori a questi: il terzo è l’«auto-ricordo» o autocoscienza, il quarto e più alto è la «Coscienza Oggettiva», o «Coscienza Cosmica». Walker scrive che si possono avere sprazzi di questi due stadi solo in casi sporadici e particolari. In particolare, pare questo lo stadio auspicato da Battiato e Sgalambro nella canzone, ma è necessario cercare di raggiungere prima gli altri.
Quanto più basso è il livello di coscienza, prosegue Walker, tanto più cieche e meccaniche diventano le nostre azioni. Ed «è soltanto in uno stato superiore di coscienza che un uomo può vedere se stesso e le cose intorno a lui quali realmente sono, e non semplicemente come egli immaginava che fossero». L’autocoscienza si raggiunge solo dopo anni e anni di «paziente e doloroso studio di sé».
In merito alla questione degli stati di coscienza, occorre tuttavia prendere in considerazione un altro possibile significato che propone la riflessione di Gurdjieff: per «stati di coscienza» si può intendere infatti anche semplicemente uno stato «normale» rispetto alla realtà e un altro «alterato» che tuttavia può riuscire di fondamentale importanza per capire la realtà stessa del sé e di come si percepisce davvero il mondo intorno a sé. In questo caso, bisogna partire dal concetto gurdjieffiano di «Essenza e Personalità».
Quest’ultima, non a caso, è una delle parole costituenti il titolo della canzone stessa, Personalità empirica, l’altra parola invece rimanda probabilmente, a Kant per il complessivo coté kantiano di Sgalambro. Kant infatti definiva «empirica» la massa e il materiale dell’esperienza mentre chiama a «priori» le condizioni dell’esperienza stessa (cfr. Anatol, p. 33). Inoltre Sgalambro ricorda più volte che Kant è autore di una «Psicologia empirica» (cfr. La conoscenza del peggio, p. 151).
L’«Essenza», tornando a Gurdjieff, è tutto ciò che abbiamo da quando siamo nati, «la costituzione fisica e fisiologica» e l’«eredità» genitoriale in termini di «potenzialità e tendenze»; è «semplice, gretta e diretta nel comportamento», ed è «la parte più genuina dell’uomo».
La «Personalità» è invece tutto ciò che l’uomo acquisisce «con l’allevamento e l’istruzione», tutto ciò che l’uomo apprende, «tutti i suoi gusti, tutte le sue simpatie ed antipatie», sempre acquisite. D’altra parte è vero che «anche le sue simpatie e antipatie istintive, che erano basate su ciò che per lui era buono o cattivo, nel corso del tempo finivano per colorarsi dei capricci della sua personalità» (cfr. ibidem, p. 63). La Personalità è «talmente complessa da ingannare persino se stessa».
Un uomo può ingannarsi (…) credendo di essere un grande filantropo pronto a sacrificare tutto per il bene degli altri e in realtà non sentire nulla per l’umanità, ma desiderare soltanto di dominare le altre persone. (…)
una donna poteva dar l’impressione di essere una creatura estremamente complessa e sofisticata continuamente alla ricerca di attenzioni, e tuttavia nella sua essenza essere una persona del tutto semplice.
Anche sulla questione della coscienza ci viene in aiuto Walker, spiegandoci che affinché l’Essenza, parte più genuina dell’uomo, possa crescere e quindi far nascere «qualcosa di vero e di nuovo come un Io controllante e permanente», la «Personalità» deve diventare più passiva e l’«Essenza» deve poi essere nutrita con un nuovo tipo di conoscenza.
In definitiva, arrivare all’«Essenza» significa compiere l’autoricordo che Gurdjieff auspicava, eliminando ogni tipo di limitazione e suddivisione «mio-tuo», «prima-dopo», «soggetto-oggetto». In quel momento, si diviene consci di un’unità, una beatitudine dell’essere.
Il pensiero, inoltre, potrebbe adombrare il processo di eliminazione della vanità, causa prima della sofferenza dell’uomo, la rimozione di categorie come atteggiamenti, abitudini di pensiero appunto, e sentimenti che concorrono a formare un individuo, oltre alla scoperta di «sub-personalità» presenti in noi e dei ruoli da noi assunti in diverse situazioni.
Se questa una possibile interpretazione del reticolo di riferimenti della canzone, restano ancora almeno un paio di tracce da seguire. In primo luogo, come spesso nelle canzoni di Battiato-Sgalambro, è possibile infatti trovare germi del percorso genetico della canzone nei libri di Sgalambro. Ad esempio, in Anatol, troviamo:
Da alcuni suoi appunti sulla gioia… la gioia segna il prevalere di un flusso vitale che dilaga inarrestabile… essa sorge come se a un tratto dovesse condurre fuori dal mondo… ma indica forse solo la piena espansione del sentimento vitale.
Infine la citazione in francese «retiens la nuit pour nous deux jusqu’à la fin du monde» («trattieni la notte per noi due fino alla fine del mondo») potrebbe forse venire dal celeberrimo Carme V di Catullo «per noi, quando la breve luce declina, resta solo una notte eterna da dormire». In entrambe le frasi è presente l’ombra dell’eterno: in Personalità empirica si collega al concetto, prettamente sgalambriano, della «Fine del mondo» (basti vedere i richiami a L’ombrello e la macchina da cucire e a Gesualdo da Venosa) mentre nel Carme di Catullo più semplicemente fa riferimento alla morte e alla fugacità della vita.
Ora alcune considerazioni di tipo linguistico/contenutistico che ci aiutano a comprendere meglio il significato di questi versi a confronto.
Il «noi» del Carme di Catullo viene rafforzato in Personalità empirica e diventa «noi due». Direttamente in relazione e mirato al preservare «noi due», è un imperativo ben preciso, quello di accrescere fino all’estremo la lunghezza della notte, rivolto a un tu generico.
In Catullo, la perifrastica del gerundivo ammette l’esistenza della morte e invita, in maniera abbastanza semplice e diretta, a godersi la breve vita, mentre, come crediamo di avere mostrato, molto più complessa e articolata è la posizione di Battiato e Sgalambro.
Dichiarazioni
Chi era e cosa ha rappresentato per lei Gurdjieff?
Il vero cambiamento della mia vita, il più grande, lo debbo alla scoperta di Gurdjieff… avevo già fatto un percorso interiore, ma nel pensiero di Gurdjieff vidi perfettamente disegnato un sistema che io avevo intuito e frequentato… una specie di sufismo applicato all’Occidente, all’interno di una società consumistica. (…) Gurdjieff era un personaggio straordinario. Armeno, russo, greco… gli piaceva mischiare le culture. Ha portato il sufismo, l’esoterismo nei bar europei. ‘Frammenti di un insegnamento sconosciuto’ (l’opera di Uspenskij dedicata al “sistema gurdjieffiano”) l’ho letta nel 1975 (…) Ho vissuto sette anni nei gruppi gurdjieffiani, sette anni magnifici. Sono entrato nel ’76, quando hanno aperto per la prima volta in Italia, a Milano, con Henri Thomasson (coautore sotto lo pseudonimo di Tramonti di alcune canzoni di Battiato quali ‘L’Esodo’, ‘La musica è stanca’, ‘Chan-son egocentrique’ e in particolare del libretto di ‘Genesi’, tutte composizioni degli anni Ottanta ndr.) e ho trascinato tutti i miei amici in quest’avventura. A parte la meditazione, imparavamo per esempio quelle terribili danze dove fai quattro cose contemporaneamente, con la testa che gira da un lato, le mani dall’altro, i piedi dall’altro ancora. Oppure certi esercizi in cui bisognava dividere il cervello in due, da sinistra discesa in giù. da destra salita in su, pari da sinistra, dispari da destra…
[CORRIERE DELLA SERA, 4/9/1998 E LA STAMPA, 7/3/2015]
L’assunto fondamentale di Gurdjieff è che gli esseri umani vivano in uno stato di dormiveglia, completamente succubi dei loro automatismi psichici…
Sì, ma in realtà la gente è trascinata dai suoi pensieri. Camminano per strada, non si accorgono di avere un corpo, schivano le macchine perché abbiamo un centro motorio più sveglio del nostro dormire, quindi non ci fa fare incidenti. Non si ricordano quello che hanno detto qualche minuto prima. Viviamo assolutamente nel sonno. Non siamo in grado di esercitare un’attenzione verso il nostro corpo, verso quello che entra e quello che esce. Di governare i pensieri.
[RAI RADIOTRE, GENNAIO 2011]
Lui non insegnava a diventare santi, bonzi, yogi e fachiri, (ma proponeva) esercizi all’interno della vita quotidiana in un caffè o in un mercato. È il misticismo applicato alla vita. Io ho seguito la sua scuola per dieci anni e vi sono tuttora legato… Gurdjieff è più da accostare al sufismo turco più che all’induismo… Comunque Gurdjieff conosceva alla perfezione l’uomo, i suoi difetti, i sistemi della sua conoscenza e quelli che governano l’essere… Era, però, soprattutto un maestro pratico di vita. I suoi discepoli dovevano fare i conti con la brutalità del suo insegnamento. Sbatteva in faccia tutti i difetti delle persone ed era così convincente in questo suo pragmatismo sorprendente che tutti obiettivamente dovevano ammettere i limiti che lui rilevava… tutto era finalizzato all’evoluzione interiore dell’uomo… la base di questa scuola è il centro di gravità permanente. È il grado di coscienza di sé. Anche se sono varie le ‘possibilità di perfezione’ del proprio sé. È quel grado di conoscenza che ti porta a una tua verità personale che, come conseguenza, si riflette all’esterno in una proiezione di giustizia e precisione
[BATTIATO-PULCINI, OP. CIT., PP. 55-66]