Saggio sopra l'espressionismo

8. Paul Scheerbart: spazio aperto

Come abbiamo già detto, filtrare la luce per mezzo di vetri colorati vuol dire provvedere alla formazione di un connubio fra l’esterno e l’interno.

L’interno deve includere l’esterno

L’interno deve includere in sé un esterno che, pur conservando una struttura a finalità proprie, si risolva in altro da sé comprendendo in sé sia se stesso sia l’esterno.
Cosicché all’interno, nell’imporgli ciò che è più grande di sé (l’esterno), si abolisce l’autorità dell’immobile dottrina della fissa dimora, dell’irremovibile ritorcersi nell’interiorità passiva.

Lo spazio interno perde l’individualismo e diventa universale

Lo spazio interno, nel relazionarsi con l’esterno (più grande di lui), rinuncia a prendere se stesso «come punto culminante», a partire da ciò costruisce un mondo di esperienza non più individualistico ma universale.
L’interno che riceve l’esterno, si sottrae al suo unico destino e finisce per porre se stesso entro un altro se stesso, cioè entro un se stesso modificato, aumentato da altra esperienza che, facendosi più grande è in grado di andare sempre oltre:

Paul Scheerbart, Lesabéndio… p.43

(…) dappertutto vedo un sottomettersi dinanzi al Più Grande e in questo sottomettersi dovremmo cercare anche noi la nostra salvezza, perché ci quieta veramente nell’intimo; se prendessimo noi stessi come punto culminante, saremmo sempre giunti a una fine, cosa che
nel nostro mondo infinito non concepiremmo mai come qualcosa di magnifico.

Subordinati al Più Grande, non immediatamente comprensibile

Per andare sempre oltre, ci si deve sottomettere sempre di nuovo – sì, sempre di nuovo, dobbiamo subordinare i nostri pensieri ad un pensiero più grande, ancora non immediatamente comprensibile; se non lo si fa, ci si stanca, si diventa indolenti e fiacchi.

L’individuo e la socializzazione con la piazza, il Grande

Abbiamo che, in una struttura urbanistica, il Grande corrisponde a un «cuore comunitario», che tradotto in “piazza” diviene centro di interscambi in un democratico sviluppo in crescita dei valori di socializzazione tra individui collettivizzati:

Walter Gropius, Architettura integrata… p.170

In una città moderna sono più che mai necessarie piazze per pedoni, perché qui, nel contatto e nello scambio quotidiano dei cittadini, si sviluppano le radici della democrazia.

All’interno di un complesso urbanistico, l’individuo incontra la piazza (il Grande), così come nell’interno della Glasarchitektur incontra l’esterno (il Grande).

Lo spazio chiuso perde i propri confini
Wassili Luckhardt, Padiglione di vetro (progetto), 1919

Lo spazio interno, se vuole crescere nell’accrescimento di se stesso, non può acquietarsi alla condizione di uno spazio che viva solo nella propria singola condizione, restando isolato dal tutto: deve assumere in sé la molteplicità dell’esterno.
L’individuo deve fare altrettanto: deve scendere in piazza, deve realizzare se stesso a contatto con la molteplicità sociale.
La compenetrazione tra spazio interno ed esterno, tra individuo e piazza, rende lo spazio abitativo un fatto etico e sociale.
Uno spazio svuotato dell’esterno è destinato a essere fermo e a non crescere, a ripiegarsi su se stesso, isolato nel concepimento di un luogo chiuso e sospeso definitivamente nel proprio singolo cerchio.
Un individuo che non lasci spazio all’ammissione di una molteplicità collettivizzata, è evidente che coinciderà con un rapporto chiuso tra sé e sé: l’individuo si limita al ristretto campo di se stesso.
Ma l’unità tra spazio e altro spazio, tra spazio e luce colorata, diviene metaforicamente quell’essere approntato a prendere a sé tutto ciò che gli viene dall’apporto dell’altro.

Lo spazio invaso dal colore diventa intimo

Uno spazio invaso dal colore (in una tenue luce colorata) diviene intimo: l’intimità sollecita alla convivialità (oltre che a una meditata, introspettiva riflessione). Lo spazio abitativo, reso indefinitamente intimo, corrisponde alla intrinsichezza spaziale di una piccola piazza: in una piccola piazza si perviene a un contatto ravvicinato tra diversi individui.
Il contatto non allontana ma avvicina; dal contatto con un altro individuo, l’individuo non potrà mai più sentirsi di essere con se stesso, se non giunge prima a consolidarsi con ciò che gli potrebbe provenire dall’altro. Ma

Walter Gropius, Architettura integrata… p.170
La piazza troppo
vasta appare vuota

se la piazza è troppo vasta, apparirà vuota e non potrà mai offrire l’atmosfera fervida, contagiosa che è tanto essenziale. Uno spazio aperto gigantesco, indiviso, più che stimolare intimidirà la maggior parte della gente.

Anche per questo, comunque la si intenda, l’architettura espressionista non si rifà alla monumentalità: in un aumento ipertrofico e afunzionale dello spazio, l’individuo non può che disperdersi; perde se stesso e gli altri.
Con la Glasarchitektur si vuol compiere un atto spirituale con il risoluto intendimento di rendere possibile (nell’ambito del suo spazio) un viaggio nell’universo.

Lo slancio vitale e cosmico dell’architettura in vetro
Rudolf Steiner, L’essenza dei colori… p.167

Lo slancio vitale di un’architettura in vetro commisura la propria forma e la propria struttura alla condensazione di effetti pittorici, per conseguire quel tipo di sperimentazione che porti, come la pittura, a detta di Steiner, «al libero muoversi dell’anima nel cosmo».
Con la comunione tra spazio e uomo (tra spazio interno -individuale- e spazio esterno -universale-) la convivenza va intesa quale attuazione di una iniziazione spirituale che porti oltre il limitato meccanismo del mero stato fisico dei luoghi e delle cose.
Con la Glasarchitektur lo spazio chiuso vuole aprirsi e porsi al di là di se stesso: l’uno vuole spingersi nei molti; lo spazio architettonico non mira più a riflettersi internamente, ma vuole rifarsi come spazio in cui converga l’esterno quale abolizione di uno spazio che pretenda l’esclusività di esser posto solo di fronte a se stesso, in un processo statico di repressione e non di progressione.

Lo spazio universale

Lo spazio interno porta in sé lo spazio esterno: lo spazio interno cioè non si nega la perdita del proprio spazio, non si nega la possibilità di svolgersi in se stesso risolvendosi in uno spazio che non viva più nell’angusta determinatezza dei propri confini: perciò

Paul Scheerbart, Architettura di vetro… p.168
Bruno Taut, Padiglione di vetro, 1914, Colonia

vogliamo pareti che non ci isolino dal grande e sconfinato mondo esterno. Ciò che non ha confini è la cosa più grande. Non dimentichiamolo mai. E ciò che non ha confini è l’immenso spazio dell’universo. Da esso non vogliamo più a lungo restar separati. Perciò vogliamo che l’architettura di vetro si imponga su tutto il resto. Da noi deve risultare vittoriosa essa soltanto. Vogliamo pareti attraverso le quali di giorno brilli il sole, e di notte splenda la grande luna insieme alle stelle dello sconfinato, infinito spazio celeste.

fabio d'ambrosio editore
via enrico cialdini, 74 - 20161 milano | p.iva 09349370156
sopralespressionismo

GRATIS
VISUALIZZA