Saggio sopra l'espressionismo

il Bello divinizza l’uomo

Risanamento ed espiazione dell’Apollineo

Contestualizzando il Bello, di derivazione apollinea (Apollo, il dio tramite cui le ombre più inquietanti dell’esistenza vengono neutralizzate; il dio dell’igiene estetica, secondo cui tutto ciò che l’uomo crea, sia nel campo dell’arte sia in quello del pensiero socio-politico, dev’esser concepito e realizzato misura su misura, equilibratamente), dovremmo aggiungere che

Friedrich Nietzsche, Verità e menzogna e altri scritti giovanili… p.79

dal punto di vista del mondo apollineo la grecità era da risanare e da espiare: Apollo, il vero Dio salvifico ed espiatore, salvò l’uomo greco dell’estasi chiaroveggente e della nausea per l’assistenza -attraverso l’opera d’arte del pensiero tragico e comico.

L’articolazione di un linguaggio misurato, scevro da ogni percezione sensoriale che si rifaccia a un vissuto esistenziale, lungi da ogni sovreccitamento morboso-gustativo, localizzabile nella percezione corporea, esposta all’indefinibile piacere del vizio, escogita per sé una visibilità depurata e purificata, senz’altro, ma pur sempre legata all’apparenza dissimulata del visibile, a una visione che non vuole umanizzarsi, cioè scendere in quella parte di animalità da cui l’uomo è fisicamente dipendente.

La divinizzazione del Bello

Il Bello è divinizzazione, e l’uomo greco aspira a incarnarsi nel dio Apollo perché possa la sua esistenza trasfigurarsi nell’allestimento solare della bella parvenza, tramite cui l’azione gesticolante del corpo materiale e fisiologico di Dioniso venga soppiantato dalla mitigazione di una sensorialità contemplativa, purificata da ogni forma di irrequietezza dionisiaca:

Friedrich Nietzsche, Verità e menzogna… p.75

La contemplazione, la bellezza, l’apparenza definiscono l’ambito dell’arte apollinea: è il mondo trasfigurato dell’occhio, che crea artisticamente un sogno a palpebre chiuse.

Aspirare a una vita troneggiante sull’Olimpo; aspirare al sedamento di ogni forza interiore (biologicamente combinata allo struggimento sensistico) e al sopimento dell’emancipazione dei sensi, e allo svuotamento del corpo (nel togliergli tutto quello di cui è fatto) e, quindi, sublimare anche la sua connotazione fisica togliendogli di dosso tutte le sue espressioni somatiche, se era per l’Apollineo fondamentale… non lo era per il Dionisiaco.

Friedrich Nietzsche, Verità e menzogna… p.75

Nel Dionisiaco «la natura si svelava e parlava del suo mistero con spaventosa chiarezza, con il suono, a fronte del quale la seducente apparenza aveva quasi perduto il suo potere».
Essere per il Bello… ha sempre significato per l’arte trascurare o ignorare la natura, e le sue impronte e testimonianze biologiche.
I segreti della natura, come quelli dell’animo umano, richiedono rappresentazioni spaventevoli, poiché il suo patrimonio naturale è di per sé spaventevole:

La natura è spaventevole
Friedrich Nietzsche, Verità e menzogna… p.71

Nell’ebbrezza dionisiaca, nell’irresistibile vortice di tutta la gamma delle sfumature dell’anima a seguito dell’eccitazione narcotica e nello svincolo degli impulsi primaverili, la natura si manifesta nella sua potenza più alta: essa di nuovo lega i singoli esseri gli uni agli altri e fa in modo che si sentano un tutt’uno, sicché il principium individuationis appare come uno stabile stato di depotenziamento del volere. E quanto più depotenziato è il volere, tanto più tutto si scioglie nella particolarità, tanto più l’individuo si sviluppa in modo egoistico e arbitrario, tanto più debole è l’organismo al quale esso serve. In quegli stati emerge quella che è la tendenza sentimentale del volere, un “sospirare della creatura” per ciò che ha perduto: è dal piacere più alto che si sprigiona il grido dell’orrore, il lamento pieno di nostalgia per una perdita irreparabile. L’esuberante natura celebra i suoi saturnali e nello stesso tempo la sua sagra di morte. Le emozioni dei suoi sacerdoti sono meravigliosamente mischiate, dolore suscita gioia, mentre il giubilo strappa dal petto accenti pieni di affanno. Il dio, lúsios, tutto libera da sé, tutto trasforma.

L’ebbrezza dionisiaca è il ritorno all’infanzia

Ma che cos’è ancora l’ebbrezza dionisiaca? È la ricomparsa dell’infanzia, ovvero il desiderio di affidare -senza preconcetti che li ostacolino- i propri sensi agli ammaestramenti che potrebbero derivare da un’esperienza selvaggia, fatta a tu per tu (e collettivamente) con i numerosi aspetti contraddittori della natura. Se v’è un solo modello da prendere in considerazione dall’ebbrezza dionisiaca, non può che essere l’inconciliabilità con un vissuto che non accetti le proprie esperienze centrate sulla sensualità della natura, sulla naturalizzazione della strutturazione corporea, sulle sue potenziali energie incontrollabili.

La natura come un corpo vero e concreto

La natura vien vista come un corpo… e perciò è vissuta come un corpo: l’emancipazione dionisiaca porta a vivere questo corpo in tutta la sua corporea concretezza.

Il Bello dionisiaco è il corporeo e non copia dal vero
Denis Diderot, in L’Estetica dell’encyclopédie. Guida alla lettura. Editori Riuniti, Roma 1998, p.110

E tutta questa corporeità è implicita nella concezione del Bello dionisiaco: esso non si basa sulla bella copia dal Vero, non comunica all’occhio secondo quell’agostiniano concetto che vede il «tratto distintivo della bellezza» consistere «in quel perfetto e reciproco rapporto delle parti di un tutto che lo costituisce Uno», ma si basa sull’indefinibile aspetto della sua multiformità, delle sue forme strutturate su infinite variazioni, del suo doloroso luogo di liberalizzazione di tutte le sue energie opposte e contrarie, dei suoi stati di eccitazione, di plurivocità, di irregolarità, di oscillazioni (tra il Bene e il Male, tra materia in forma e materia informe), dei suoi paradossi, delle sue differenziazioni, delle sue malattie, dei suoi dolori.

Il linguaggio della scrittura dionisiaca non è regolamentato

Ed è per questo che una scrittura dionisiaca non riconduce il linguaggio all’ordine di un trattato di stile regolamentato, ma agli stravizi esistenziali di una terra mortale:

Gli stravizi di una «terra … mortale»
Giacomo Lubrano, sonetto CXXXII in Scintille poetiche o poesie sacre e morali di Paolo Brinacio Napoletano. Andrea Poletti, Venezia 1690

La terra anco è mortal: trema e si scote
di parletico umor turgida il seno;
e se le pesti sue smaltir non puote,
trasuda in zolfi, e bollica in veleno.

fabio d'ambrosio editore
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