Che cosa ci dice in definitiva la scrittura espressionista? Ecco: fate che in essa entri anche il taglio delle unghie, la caduta dei capelli, la forfora, i bruciori di stomaco. Fate in modo che la scrittura sia vera quanto il vero.
Fate che l’azione della parola sia connessa con ciò che produce l’effetto di una emorragia. Gli eventi di un corpo, legati al suo universo fisico, sono innumerevoli: lasciate allora che entrino anch’essi nelle parole, conducendo queste a mettersi in contatto con la pelle del mondo.
Lasciate che nelle parole entrino tutti i rischi che la vita presenta attraverso le proprie patologie esistenziali. Fate che le riflessioni critiche della parola provengano anche dalle testimonianze delle malattie dell’uomo.
La parola a colloquio col mondo, ecco in che cosa consiste la liberazione della parola poetica dalla prigionia cartacea e dalla sua specialistica appartenenza a una tradizione letteraria classicistica… e perciò classista.
La competenza della parola dovrebbe consistere non tanto nel saper parlare in vece di un discorso che se ne stia chiuso in un linguaggio al riparo dal mondo, quanto nel saper esprimere liberamente l’aspetto somatico e
corporale del mondo.
Lasciate dunque che tutti i sintomi psicosomatici del sociale aggrediscano la parola per costringerla a occuparsi della loro tormentata espressività emozionale.
Entrino pure nella parola i sensi di colpa, la fisicità di individui buttati nelle irritazioni delle strade, il tumore all’utero, la coscienza violentata, il pensiero fòbico, quello che ha persino timore di pensare o di sapersi pensante.
