Saggio sopra l'espressionismo

l’artisticità dionisiaca

Con sobrietà l’ebbrezza, con ebbrezza la sobrietà: realizzare l’artisticità dionisiaca

Per l’espressionista la biodiversità dell’esistenza va vissuta sino in fondo: estinguersi nell’ebbrezza di assaporarla; darsi deliberatamente al piacere sensoriale di toccare con mano ora con sobrietà l’ebbrezza, ora con ebbrezza la sobrietà; contribuire, insomma, consapevolmente a realizzare l’«artisticità dionisiaca»:

Friedrich Nietzsche, Verità e menzogna e altri scritti giovanili. Newton Compton, Roma 1981, p.69

Non nel passaggio dalla sobrietà all’ebbrezza, bensì nella loro coesistenza si mostra l’artisticità dionisiaca.

Essere in stato di ebbrezza vuol dire essere fuori di sé; sentire intensamente può solo avvenire sfociando in un corpo capace di uscire fuori di sé per osservarsi e osservare:

Uscire dal sé per osservare senza l’automatismo dell’abitudine

Così il fedele di Dioniso deve lasciarsi andare all’ebbrezza e nello stesso tempo star fuori di sé, come una spia che osserva.

Essere in uno stato di ebbrezza dionisiaca vuol dire essere disponibile per un’attività sensoriale che si tenga lontana dall’abitudinarietà dell’automatismo. Stando concentrati sul proprio corpo, chiudersi nel suo conformismo, appendere i sensi al chiodo senza mai indossarli, senza portarli fuori del corpo, è un atto sensoriale che non porta i sensi a familiarizzare con la naturalità della natura.

Avere la sensibilità dei bambini, dei selvaggi, dei pazzi

Perché ciò accada, occorre dare ai sensi il temperamento emancipato e libero del bambino, del selvaggio, del pazzo: l’artista espressionista è così portato a coltivare il suo interesse per la natura attraverso l’interiorizzazione di un’esperienza viva, fatta a stretto contatto con essa. Si trattava, per egli, di trascinarsi nell’esperienza della natura con una osservazione mantenuta costantemente nella percettività sensoriale del bambino e del selvaggio, cioè osservare e percepire la natura sempre in modo nuovo e diverso, scomporla e ricomporla secondo una certa quantità di libere modificazioni. Trarre dalla natura: una creazione tanto originale quanto quello del sedimento delle forze oscure che troneggiano dal basso della natura stessa. La plurivocità selvaggia del corpo della natura istigava l’espressionista a misurarsi, con estrema perizia e autocontrollo, con l’impulso caotico della natura stessa.

Arnold Gehlen, Quadri d’epoca. Guida Editori, Napoli 1989, p.222

Non è dunque affatto vero -stando a ciò che afferma Arnold Gehlen- che «l’alto livello di elaborazione» degli espressionisti «naufragava… nella sconsideratezza dell’impiego».

L’espressionista, come si può notare dal brano qui riportato, non soccombe a una tecnicizzazione pittorica impregnata di casualità e sconsideratezza formale, né mai è naufragato nella sconsideratezza dell’impiego:

Vasilij Kandinskij, I quadri di Schönberg (in origine La pittura di Schönberg) in Arnold Schönberg, Vasilij Kandinskij, Musica e pittura. SE, Milano 2002, pp.172-173

Noi vediamo che in ogni quadro di Schönberg l’intimo desiderio dell’artista parla nella forma ad esso adeguata. Come nella sua musica (per ciò che io posso affermare in qualità di profano), anche nella sua pittura Schönberg rinuncia al superfluo (quindi al dannoso) e va per via diretta all’essenziale (quindi al necessario). Tutti gli “abbellimenti” e le finezze pittoriche egli li lascia da parte, senza curarsene. Il suo Autoritratto è dipinto col cosiddetto “sporco della tavolozza”. E quale altro materiale cromatico avrebbe potuto scegliere per raggiungere quell’impressione forte, spassionata, precisa, concisa?

Schönberg rinuncia ad abbellire musica e pittura

Un Ritratto di signora nel colore mostra più o meno pronunciato “soltanto” il rosa malaticcio dell’abito, – e nessun altro colore. Un paesaggio è grigio-verde, “soltanto” grigio verde. Il disegno è semplicemente ed esattamente “goffo”. Una Visione, su una tela piccolissima (o su un pezzo di cartone da imballo), consiste “soltanto” in una testa. Fortemente eloquenti sono “soltanto” gli occhi orlati di rosso. Vorrei chiamare la pittura schönberghiana la “pittura del soltanto”.

Penetrare l’essenziale -nell’accezione più illimitata- richiede devozione a un procedimento estetico analitico.

La natura ha una struttura dinamica

La struttura eccentrica e demoniaca della natura… è pur sempre una struttura. E una struttura, anche se atmosferica, è un dinamismo dominato da una dinamica geometrica.

Perizia e controllo concettuale nella disarmonia

Riformulare quest’ultima (secondo una struttura pittorica che suggerisca -emozionalmente e visivamente- l’immediatezza di una forza naturale propulsiva) richiede perizia, controllo estetico-progettuale regolamentato da una emancipazione della forma strutturata e ricercata, foss’anche nella sua disarmonia e grossura primitiva.

Costruire con risolutezza aritmetica

L’artista, anche quando agisce esteticamente in maniera blasfema (infrangendo le regole, elaborando il gesto naturale della dissoluzione, deplorando -con una struttura rotta- la proposizione lineare geometrica del Bello), lo fa definendo il proprio linguaggio con rigore, costruendo forme con assoluta risolutezza aritmetica. Infatti:

Arnold Hauser, Le teorie dell’arte. Einaudi, Torino 1988, pp.86-87

L’artista può essere neurotico, e il bambino, il selvaggio o il pazzo possono produrre cose di valore artistico, l’arte però non è mai il prodotto della neurosi, della pazzia o di una costituzione spirituale primitiva.
(…)

L’artista ha sempre il controllo delle sue capacità

Il vero artista è il signore e non lo schiavo delle sue capacità. Egli può essere malato, ma il suo talento non ha una relazione diretta né con la sua malattia né con la sua salute. La malattia può tendere le sue forze e dirigerle a uno scopo particolare, ma non è l’origine della sua forza creativa, come non lo è l’esperienza di un amore, che può dargli soltanto nuovi motivi ma mai i mezzi per la loro configurazione.

Il controllo della deformità

Deformare, sì, ma dando qualità cromatica appropriata a far gèmere quella deformazione: dando sostanza formale che disarmonicamente riveli l’indeterminatezza di quella storpiatura. Schiacciare la forma nella deformità richiede un gesto da cerusico: netto (immediato) e programmatico (concepito teoricamente prima di dar moto e concretezza al gesto).

Anche l’effetto dell’immediatezza è programmato

L’effetto di spontaneità, di immediatezza va progettato, e la drasticità della deformità è concepita drasticamente dall’espressionista non in maniera incontrollata, ma controllata, seguendo l’economizzazione di una forza gestuale che non vuole disperdersi in ciò che non deve esserci né in ciò che vuole che non ci sia.

fabio d'ambrosio editore
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