Saggio sopra l'espressionismo

di nuovo nell’architettura gotica: libro cosmologico

Una cattedrale gotica deve aprirsi al credente come un libro cosmologico, irregolare, poliedrica, caotica, ascetica, multiforme

Ritornando all’architettura gotica, se volessimo allegoricamente immaginarcela sposata a una forma geometrica, quella non potrà mai essere una
forma piana, bensì irregolare e poliedrica, multiforme e complessa; e la sua religione dovrebbe esser quella che permetta la poligamía: convivere con più forme.
La linea resta indifesa, non è retta dalla statica impostazione di un centro che si regge secondo la legge gravitazionale, ma è catturata dalle complicazioni di un assetto di linee apparentemente aleatorie -giacché sembrano gettarsi a volo nello spazio- e caoticamente combinate fra loro.

Le linee del Gotico: simbolica, orientale, cosmica

Nella verticalizzazione ascetica della linea gotica entrano linee e forme della più varia provenienza: la linea che si dà l’impronta di un significato simbolico; la linea di origine orientale, escatologica e catartica; la linea che
pare interpreti l’energia misterica del Kosmos, la linea che legittima la contrapposizione degli opposti.
Una cattedrale gotica deve aprirsi al credente come un libro cosmologico e, in quanto tale, non può addurre una struttura architettonica totalmente calata nella prospettiva centrica di un centro unico, imprigionato nella propria unicità.

La forma ripercorre la creazione dell’universo

La sua forma deve incessantemente offrirsi ad altre forme, deve muoversi ed elevarsi, smarrirsi e ritrovarsi come nei vortici e nelle volute della creazione dell’universo; il suo spazio architettonico deve visivamente rimandare al senso di una profondità senza fondo deve divenire dominio del conflitto fra la testimonianza di un mondo ultraterreno e la forza di un’energia cosmica, impegnata a forgiare forme come di un mondo appena nato.
L’anima del Kosmos deve formulare i suoi segni, imprimere le sue cifre: le linee, variamente combinate, devono parlarsi per mezzo della molteplicità.
Lo spazio architettonico deve in sé includere incessanti modificazioni, tutto ciò che in esso prende vita ci deve apparire come una porzione di Kosmos appena scoperto: lo sguardo, che lì osserva, deve poter formulare ipotesi e ipotesi.

L’architettura gotica si innalza come un inno a Dio

L’architettura deve innalzarsi al cielo come un inno a Dio, e perciò le sue forme, le sue linee devono essere concepite come tanti suoni all’unisono, emanati dalle canne di un organo: a ogni linea deve corrisponde un suono, a ogni suono una forma, a ogni forma una linea e un suono.

Forme attinte dal sapere universale

Le sue forme devono essere come attinte dall’universale sapere del Kosmos.

Un’architettura immersa in uno spazio cosmico, manifestazione del divino, del pluralismo dell’universo

Un’architettura immersa in uno spazio cosmico, è questa la condizione spaziale che una cattedrale gotica crea per i suoi fedeli.
Lo spazio del Tutto deve suggerire lo schema dell’universo; fare della forma architettonica la manifestazione del divino; essere l’analogia tra libro cosmico-enciclopedico e piazza universale.
La forza vitale dell’universo non è statica, i suoi movimenti affermano incessanti mutamenti; per tutto questo le forme, rivelate dal Kosmos, devono apparire come estranee l’una all’altra, e la loro dissonanza deve incarnare il pluralismo formale dell’universo.
Lo spazio architettonico del Gotico deve liberarsi dal terreno, deve unirsi all’ispirazione dell’universo: creare e ri-creare all’infinito, come dire: la complessa architettura gotica non poteva esser concepita che dalla complessa razionalità di un’entità divina.

L’ordine di infiniti ordini, il caos

Ma qual è la legge che governa queste forme? È la stessa che governa l’universo popolato di astri: la legge dell’avvicendamento degli ordini infiniti, ben definiti in un ordine non ben definito; materie coordinate e ordinate dal caso, corruttibili quanto l’attività fenomenica e in continua evoluzione del caos.
Il caos è un ordine fondamentalmente ottenuto da infiniti ordini: è un ordine tra tanti ordini, in un centro senza centro.

Armonia di disarmonia

L’architettura gotica pare nascere proprio dall’azione del caos.
La sua armonia formale è piena di disarmonia, la sua consistenza strutturale è simile all’incalcolabile numero di corpi celesti che popolano l’universo.
È un’architettura creata dalla intelligenza del Creato.
Il Creato ha fatto dell’architettura la forza creatrice della creazione suprema, trattiene in sé un regno mistico che inizia a esser concepito come spazio di nuova creazione.
Ogni sua forma deve corrispondere, in ogni sua parte, a un cosmo formatosi in seno a un’energia concepita dal caos.
Il suo spazio deve essere un luogo in cui, in tutte le sue forme, deve essere riconosciuto il progetto divino:

Tutte le forme devono avere affinità con la creazione

tutto il nuovo e il ri-creato deve ri-trovarsi in questo spazio; tutte le sue forme devono avere affinità con la creazione, il suo virtuosismo deve parlarci di un’intelligenza superiore.

Architettura come spazio energetico per la salvezza spirituale

Per questo l’architettura gotica è stata concepita in seno all’azione di uno spazio energetico, sempre in movimento e in espansione, in cui non prevale (fra elementi ornamentali e plastico-architettonici) nessuna gerarchia, tutti gli elementi risalgono dal fondo verso l’alto, tutti si orientano verso la salvezza spirituale.
La forma non è determinata dall’intendimento raziocinante, né da un criterio di logica, ma da un impulso di passionalità emotiva, dallo smarrimento estatico, dall’uso di un parossismo delirante.

Forme verticalizzate verso il cosmo

Lo spazio architettonico è fornito di forme verticalizzate per slanciarsi nel cosmo;
forme che distraggono dalla vita terrena;
al sorgere di tutte quelle forme, sorgono sempre altre forme;
corpo e spirito, forma e slancio insieme vogliono raggiungere la materia della divinità.

Linee inestricabili come i segni dell’universo

Tutti gli elementi decorativi stanno a suggerirci i segni inintelligibili del  sapere di Dio, ci accompagnano nell’indefinibile pensiero dell’ordine cosmico:
il suo profluvio di intrecci di forme e linee è inestricabile, alla stessa stregua dei segni tracciati dall’universo.
La geometria della vita è irregolare; attraverso la propria irregolarità la vita dimostra di esser viva. Porta in sé il mutevole, gli atteggiamenti mímici di infiniti particolari quali, ad esempio, quelli degli alberi che proclamano:
sia le scontorsioni delle radici, sia la ricca varietà delle variazioni nei rami che si diramano, sia i loro sbocci, sia le forme particolari dei loro frutti, sia il linguaggio fonetico ottenuto dal fruscío delle foglie e dei rami. È come se la natura comunicasse per geroglifici, con la multiformità dei segni che vivono in tutte le sue forme.

La forma babelica e irregolare della natura

La forma in cui la natura si iscrive è un complesso babelico di forme che non scade mai in semplicismi. La sua materia compone forme brulicanti di forme; ciò che forma, continua a formarsi, e ogni sua forma possiede in sé altre forme:

Benoît Mandelbrot, La geometria della natura. Sulla teoria dei frattali, Theoria, Roma-Napoli 1989, pp.75-71

Il fatto fondamentale, cioè l’esistenza in natura di numerose figure frammentate e irregolari,
non può essere contestato. (…) Lo scienziato non viene dunque spinto dalla fantasia ad affrontare l’irregolarità, ma vi è costretto dalla natura. I suoi predecessori hanno ottenuto dei buoni risultati: i problemi geometrici, suggeriti o imposti dalla natura, diventano quindi sempre più complicati. È per questo che in modo indipendente scienziati operanti in settori anche molto diversi e contemporaneamente alla ricerca di modelli per curve e superfici naturali sempre più irregolari si sorpresero a immaginare figure intermedie, cioè esseri geometrici che non sono né curve né superfici né volumi, pur avendo delle caratteristiche di ciascuna di queste categorie. Il fatto che queste intuizioni si rivelino inutili nella geometria euclidea, ci fa desiderare l’esistenza di un’altra geometria nella quale siano utili. Non resta allora che identificare e applicare questa geometria.

L’architettura gotica è un inno all’imperfezione

Stando alla frammentarietà e irregolarità della natura, l’architettura gotica si presenta come un inno all’imperfezione. La sua struttura fluttuante,
le sue linee che si contrappongono ad altre linee, il suo centro decentrato che òrbita intorno a un gioco di forme non riducibile a un effetto di simmetria, né di configurazioni immediate (essendo la configurazione di una forma mai nettamente delineata, i suoi movimenti assumono diversi aspetti), il suo fluire infinito, sempre in divenire, ci dicono

John Ruskin, La natura del Gotico. Jaca Book, Milano 1981, pp.76-77

che l’imperfezione è, in un certo qual senso, essenziale a tutto quanto conosciamo della vita. In un corpo mortale, imperfezione significa vita, cioè una situazione di progresso e di cambiamento. Nessuna cosa vivente è, o può essere, rigidamente perfetta: parte di essa è in declino, parte in sviluppo.

Bisogna, dunque, vedere l’arte gotica come un mondo scomposto e ricostruito da forme guardate interiormente: in un mondo guardato interiormente, ci sentiamo più liberi di percepirlo e immaginarcelo risolto senza dogmatiche soluzioni formali.

Arte concepita da empatia e astrazione

Lo spazio in cui quel mondo ricomposto prende forma, è mosso da una volontà eclettica, la sua capacità di adesione al pluralismo formale mette in combustione

Wilhelm Worringer, Astrazione ed empatia… p.26

un’arte concepita sia dall’impulso di empatia (che «quale presupposto dell’esperienza estetica, trova la propria gratificazione nella bellezza del mondo organico»), sia dall’impulso di astrazione (che «trova la propria bellezza in quello inorganico, negatore della vita, nel cristallino, o, in generale, in ogni legge e necessità astratta»).

Astrazione ed empatia determinano il dualismo estetico del Gotico

L’arte gotica è lungi dall’esprimersi in un luogo chiuso, dogmatico. Il suo dualismo sul piano estetico, giustificato dalla compenetrazione di elementi di empatia e di astrazione, ha radicalizzato in sé, conflittualmente, un’arte determinata da una serie indefinita di soluzioni formali che univocamente procedono in una direzione antagonistica e, al  contempo, dialettica e felicemente contraddittoria, poiché

Wilhelm Worringer, Astrazione ed empatia… p.36 Un’«agorafobia spirituale»

mentre l’impulso di empatia è condizionato da un felice rapporto di panteistica fiducia tra l’uomo e i fenomeni del mondo esterno, l’impulso di astrazione è conseguenza di una grande inquietudine interiore provata dall’uomo di fronte ad essi, e corrisponde, nella sfera religiosa, a un’accentuazione fortemente trascendentale di tutti i concetti. Possiamo descrivere questo stato come un’immensa agorafobia spirituale.

La forma gotica si fa ornamentale

La forma gotica si trasferisce all’interno di una prospettiva mistica. Il tentativo di totalizzare sensisticamente l’esperienza mistica, porta a concepire una cosmologia divina in maniera sinestetica: lo spazio diviene un approccio a concettualizzare sensualmente l’evento mistico tramite la possibilità di abbracciare totalmente con tutti i sensi i suoi capovolgimenti di prospettiva delle forme: la forma si fa ornamentale (la stilizzazione dell’elemento naturale compenetra un’astrazione geometrica equivalente a una geometrica estensione, indefinita, dell’infinito) e spiega, attraverso la struttura labirintica delle sue linee, come si generi l’incomprensibile estensione spaziale vissuta sul piano mistico.

La sensualità della forma ornamentale

L’immodificabilità della forma geometrica viene rotta e modificata dall’irruenza sensuale della forma ornamentale.
La forma gotica rinvia la propria contorta e sensuale linearità all’obiezione della forma chiusa geometrica. Essa è come afferrata, sensualmente-sinesteticamente, da una percezione sensoriale drogata misticamente:

La forma si spinge oltre il limite

la forma si spinge oltre il limite di se stessa, mira esplicitamente a superare la linea di terra con la verticalità, si spinge verso l’alto, spingendo il nostro sguardo oltre la visione dell’orizzonte.

Gaston Bachelard, La fiamma di una candela. Editori Riuniti, Roma 1981, p.35

Una forma diritta si slancia e ci trascina nella sua verticalità. Conquistare una vetta, nella realtà rimane una prodezza sportiva: il sogno va più in alto, il sogno ci trascina in un al di là della verticalità. Tanti sogni di volo nascono in presenza di esseri diritti o verticali come emulazione della loro verticalità. Accanto alle torri, accanto agli alberi, il sognatore di altezze pensa al cielo.

Le rime petrose di Dante: il metro difficoltoso e l’inganno delle rime

Anche nelle rime petrose di Dante troviamo elementi che deturpano la metrica (geometrica) provenzale, pur adottando la sestina doppia escogitata da Arnaldo Daniello. Dante crea un meccanismo metrico più difficoltoso da seguire, sia per le complicazioni strutturali metriche che vi apporta, sia per l’effetto ambiguo ottenuto da rime create con parole di significato diverso, atte a ingannare per la loro similitudine, ad esempio: petraimpetra.

Le antitesi del Grottesco e la Commedia

Come a voler restituire nei versi le stesse antitesi della vita che portano la forma ad acquisire la faccia del Grottesco, che sempre mostra le sue antitesi: elevato-sublime/piano-umile… Dante giustamente non può che chiamare il suo poema Commedia:

Epistola a Cangrande della Scala in
Dante, Opere minori. U.T.E.T, Torino 1986

Alla cui comprensione si deve sapere che commedia si dice da «comos» contado e «oda» che è canto, onde commedia è quasi «canto rustico». E la commedia è un genere di narrazione poetica diverso da tutti gli altri. Differisce dunque dalla tragedia nella materia, in quanto la tragedia è al principio ammirabile e placida, alla fine o conclusione fetida e orribile; e perciò è detta così da «tragos» che è capro e «oda», quasi «canto caprino», cioè fetido a guisa di capro, come è chiaro da Seneca nelle sue tragedie. La commedia poi introduce l’acerbità di alcuna cosa, ma la sua materia termina prosperamente, come appare da Terenzio nelle sue commedie.
E di qui alcuni scrittori presero l’abitudine, nelle loro salutazioni, di dire invece del saluto: «tragico principio e comica fine». Differiscono similmente nel modo d’esprimere: la tragedia in modo elevato e sublime; e la commedia in modo piano e umile, come vuole Orazio nella sua Arte Poetica, dove permette talora ai comici di esprimersi come tragici, e viceversa:
Talora però anche la commedia alza la voce,
e l’irato Cremete rimprovera con tumido
linguaggio;
e il tragico spesso si duole con discorso pedestre
Telefo e Peleo, etc.

fabio d'ambrosio editore
via enrico cialdini, 74 - 20161 milano | p.iva 09349370156
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