Saggio sopra l'espressionismo

la dodecafonia di Schönberg: shock e traumi dai moti corporei dell’inconscio

L’istinto contro la convenzione borghese, per fare un tuffo nell’inconscio

L’istinto, l’atto puro, libero dai vincoli convenzionali, imposti da una società organizzata secondo le sue ordinarie istituzioni, è per l’Espressionismo
il presupposto con cui fare un tuffo nell’interiorità dell’inconscio e avviare un processo contro la dimensione affaristica della razionalità (la razionalizzazione dell’organizzazione sociale viene vissuta dall’espressionista come ciò che nasce dall’astuzia borghese per far fronte ai propri affari), ed indica un linguaggio studiato apposta per contraddire -secondo i propri fini- alle imposizioni formulate dalla cultura egemone per la conservazione del proprio istinto di sopravvivenza.

Non v’è piacere lùdico nell’Espressionismo

Non v’è piacere lùdico nell’Espressionismo. L’epoca in cui nasce, contaminata dalla definizione borghese del bene e del male, lo induce a esprimere un’arte che testimoniasse l’impurezza della psiche umana, il tracollo della virilità fallica di un pensiero antieroico, esercitato sino all’autolesionismo e alla perdita del magico potere dell’ottimismo.

L’inconscio e la ricerca del vero

Per l’inconscio, non vale nessuna legge estetica formulata secondo un criterio di razionalizzazione elaborata dal bisogno di dettar legge agli impulsi
istintivi, o a qualsiasi altro impulso che derivi dalle profondità della psiche.
All’inconscio è associata la ricerca del vero (dell’autenticità), e il vero non può che manifestarsi in connessione di un impulso a sentire e pensare indipendentemente dal ragionamento acquisito, e dalle percezioni sensoriali assunte dalle convenzionalità, ordinariamente condotte all’interno di una specifica società.

L’arte si muove in direzione opposta al linguaggio convenzionale

Per dare ascolto all’inconscio, per esprimersi a partire dalle percezioni sensoriali da esso stimolate, occorre sentire e pensare con un’arte che si muova in direzione opposta a un linguaggio già convenzionalmente acquisito. Un linguaggio in via di rifarsi (non trasportato da nessuna norma acquisita, non analogo a quello omologato), assolutamente avventuroso nel rifarsi, è il solo mezzo attraverso il quale l’artista può sperare di riuscire

Arnold Schönberg, Lettera a Kandinskij 24 gennaio 1911 in Arnold Schönberg e Vasilij Kandinskij, Musica e pittura… p.20

a realizzare attraverso i ritmi e i valori sonori il suo più intimo desiderio, ossia quello di esprimere soltanto processi interiori, immagini interiori, allora l’“oggetto della pittura” cessa di essere una semplice riproduzione di ciò che gli occhi vedono.

Il punto cruciale è dunque, per l’Espressionismo, condurre l’occhio a vedere interiormente. La percezione sensoriale consuetudinaria non sarebbe in grado di condurre a vedere nell’interiorità del segno delle cose tangibili.

L’occhio vede secondo schemi convenzionali

L’occhio che si muove in superficie alla percezione visiva, convenzionalmente acquisita, vede l’oggetto con lo sguardo assimilato secondo quella convenzionalità.

Occorre una visione libera da regole visive

Per vedere nell’interiorità occorre un occhio che veda non a partire da una visione applicata secondo esperienze già fatte, che miri ad attribuire alle cose vedute un’esistenza già confezionata secondo regole visive indottrinate, ma da una visione che non sia ancora giunta a una precisa definizione delle cose da apprendere, non ancora contrassegnata da regole visive istituzionalizzate.
Stando a ciò che Kandinskij scrive nel 1911 a Schönberg, riferendosi alle sue opere pittoriche, non fa che  affermare che è la forza interna alla materia che più interessa alla ricerca espressionista:

Arnold Schönberg e Vasilij Kandinskij, Musica e pittura… p.33

Vedo moltissime cose nei suoi quadri… In particolare due radici: 1) un realismo “puro”, cioè le cose come sono e come suonano interiormente. (…) 2) la seconda radice -l’astrazione della materia, il suono mistico-romantico…

Il «realismo puro» traduce il suono interiore delle cose

Il «realismo puro» è visibile non attraverso a ciò che una certa raffigurazione traduce solo in superficie, ma ad una forza che, proveniente dall’interiorità della cosa, si esprime portandosi in superficie con tutto ciò che le
ribolle dentro.

L’«astrazione della materia» mostra come le cose suonano interiormente

Le «cose sono come suonano interiormente», solo quando nella cosa raffigurata riusciamo a scorgere il contenuto della propria interiorità, che si munisce di una superficie su cui far vibrare profondamente ciò di cui sostanzialmente è fatta.
Consacrarsi alla rappresentazione dell’interiorità della cosa serve, in maniera visivamente tangibile, ad animare la materia pittorica, fino ad ottenere che «la sedia vive, la linea vive».

Cogliere l’energia mistica nell’interiorità della cosa
Vasilij Kandinskij,
Quadro con macchia
rossa, 1914, Parigi, Centre
Pompidou

Per adempiere a tale fine, occorre che l’interiorità della cosa alberghi in sé un’energia mistica: la cosa, còlta nell’interiorità del suo inconscio, deve esprimersi libera da ogni vincolo di ordine condotto da un nucleo di regole che le imporrebbero di esprimersi secondo la loro necessità. È secondo una propria interna necessità che la cosa deve esprimersi. L’esecuzione della  raffigurazione della cosa deve come avvenire per mezzo di una visione mistica, poiché la sua azione visiva è l’unica in grado di rivelare anche ciò che dal più profondo della psiche emerge.

La visione mistica rende accessibile la psiche

La visione mistica, a differenza della visione ordinaria, realizza visivamente ciò che sorge dall’interiorità: rende visibile ciò che si nasconde nella psiche.

Maria Maddalena de’ Pazzi, Le parole dell’estasi… p.22

Il linguaggio mistico, che proviene dalle profondità della psiche, per rendere visibile le proprie visioni non può dunque che innescare in sé «la trasgressività delle formule linguistiche impiegate». E il linguaggio mistico
ben adempie a questa funzione.

Lo shock della musica atonale: ogni nota degenera in trauma

Con la musica atonale di Schönberg, l’attività materica dell’inconscio precede linguisticamente ogni forma di linguaggio acquisito, scortando la propria forma nella propria vera forma e non in quella simulata. La visibilità dell’incoscio prende forma dalle note attraverso tonalità dissonanti, che a loro volta traducono lo shock in musica.

I suoni escono dalla «realtà deformata» dell’inconscio

La musica atonale spinge la tensione
di ogni nota a degenerare in trauma: il trauma non viene simulato ma ricreato; diviene materia viva che vibra al vivo, non in un’armonia di accordi (l’armonia non provoca shock), impregnata di suoni che in sé non producono incrinature nelle proprie sonorità, ma in suoni che si arrischiano a uscir fuori -così come dovrebbero essere- «dalla realtà deformata» dell’inconscio. In Schönberg

Theodor Adorno, Filosofia della musica moderna. Einaudi, Torino 1980, p.46

non son più passioni ad essere simulate, ma sono piuttosto moti corporei dell’inconscio, shock, traumi, nella loro realtà non deformata, che vengono registrati nel medium musicale.
Essi aggrediscono i tabù della forma, poiché questi sottopongono tali moti alla loro censura, li razionalizzano e li traspongono in immagini. Le innovazioni formali di Schönberg erano strettamente legate al contenuto d’espressione, e servivano a farne erompere la realtà. Le prime opere atonali sono “protocolli”, nel senso dei protocolli onirici psicanalitici.

I quadri di Schönberg: «nudi di cervelli», sgorbi che disturbano la superficie

Kandinskij, nel suo saggio compreso nella prima pubblicazione su Schönberg, ha chiamato i suoi quadri “nudi di cervelli” (Gehirnakte). Le vestigia di quella rivoluzione dell’Espressionismo sono però gli sgorbi che si insediano, contro la volontà dell’autore, tanto nei quadri che nella musica come messaggi dell’es, disturbano la superficie e, come le tracce di sangue della favola, non possono essere cancellate con correzioni successive.

Non ci sorprenda pertanto che la forma disperante della dissonanza sprofondi nell’affermazione di una spiritualità che è la radice di ciò che ragionevolmente, sul piano musicale, accetta di condividere con l’inconscio una forma disarmonica come recepita da shock e traumi.

La dissonanza è la nuova armonia attraverso la disarmonia

Parafrasando Anton Webern, diciamo che la dissonanza è quella riformulazione di una nuova armonia tramite la disarmonia di cui l’affermazione materica del suono, o il suono spiritualizzato da una vertigine provata di fronte al baratro di un inconscio traumatizzato, non ci dice altro, coi propri dissonanti suoni, se non che occorre

Anton Webern, Il cammino verso la nuova musica. SE, Milano 2001, pp.16, 20

imparare a vedere abissi là dove sono luoghi comuni… E questo sarebbe il riscatto, l’impegno spirituale.

Attraverso la dissonanza si comprende la meraviglia del pluralismo della vita. Ma poiché

il suono non è una entità semplice, ma al contrario un qualcosa di composto… ogni suono contiene degli armonici, in numero praticamente infinito,

a maggior ragione per la dissonanza diviene essenziale, per esprimersi, assumere come paradigma la forma delle diversità dei suoni. La sua armonia si distrugge in una forma sonora regolatrice di un caos a cui giungono suggestioni di infiniti suoni dagli infiniti particolari. Diviene in essa palese che

Anton Webern, Il cammino verso la nuova musica… p.26
La serie degli armonici è infinita

l’arte è un prodotto della natura universale dal punto di vista particolare della natura umana. (…) Niente di più falso, dunque, dell’opinione che è sempre esistita e ancora oggi si sente ripetere: “Bisogna comporre come si componeva un tempo, e non con tutte queste dissonanze, come si fa oggi!”. Perché noi continuiamo a prender possesso, progressivamente, di quel che ci è dato dalla natura! La serie degli armonici si può considerare praticamente infinita.

Non è della natura la forma illuminata dalla gamma degli innumerevoli opposti, in cui vediamo un certo grado di armonia contenuta nella disarmonia, e un certo grado di disarmonia contenuta nell’armonia?

La dissonanza: entità di un ordine fatto di infiniti ordini

Siamo, con la dissonanza, all’entità di un ordine universale fatto d’infiniti ordini. Nella dissonanza si cade nell’universalità degli opposti: essa ci dice che un ordine in se stesso, contenente un ordine ordinato, non può da solo presentarci ai sensi la pluralità universale dell’universo. Occorre che a un ordine vi subentrino tanti altri ordini per creare la prospettiva illimitata di
una natura universalizzata.
L’ordine, tipicamente generalizzato da una razionalità propriamente umana, è essenzialmente un ordine finito, che gira intorno a se stesso, vive e muore in sé, distante dal comprendere in sé un ordine che si ponga all’infuori di sé per lasciarsi accadere nella realtà dinamica di infiniti opposti ordini, propri della natura del mondo e dell’universo.

L’ordine apollineo rimane fermo in se stesso, nulla lo impressiona, nulla lo cambia

L’ordine consacrato da un raziocinio apollineo è immoto, a contatto con la percezione dell’ignoto non cambia nulla della propria forma, è refrattario agli eventi che accadono fuor di se stesso, e non v’è impressione proveniente dal mondo che possa impressionarlo e, dunque, mutarlo. La razionalità che
l’ha costruito, lo ha de-sensibilizzato dal sentire e vedere il mondo. È un ordine che rimane fermo in se stesso; non va mai più in là del proprio limitato spazio; la sua struttura resta appropriata a una forma che si richiude su se medesima; è una forma che mai si incamminerebbe nel mondo; la sua forma è confacente al cammino di un uomo nato, vissuto e morto nella propria casa, rifiutandosi di scendere tra le dissonanze del mondo.

Forma chiusa = astrazione fine a se stessa
Dissonanza = empatia

E a questa forma chiusa in sé (frutto di un’astrazione divenuta necessaria solo a se stessa, a cui associamo, secondo l’accezione di Wilhelm Worringer, il concetto di astrazione) e alla dissonanza (indiscutibilmente ottenuta da un certo pluralismo formale, adeguatamente ricavato da opposti ordini a cui associamo il concetto di empatia), non possiamo che abbinare quella

Wilhelm Worringer, Astrazione ed empatia… p.112

contrapposizione antitetica di empatia e astrazione a cui corrispondono nel campo della storia delle religioni o delle visioni del mondo i due concetti di endomondanità (immanenza), che si caratterizza come politeismo o come panteismo, e di sovramondanità (trascendenza),
che conduce al monoteismo.

Panteismo e dissonanza

Associamo al panteismo la dissonanza, poiché è del panteismo lo sguardo tattile dell’uomo a contatto con il pluralismo della comunità organica della natura.

Monoteismo e forma razionalizzata

Associamo al monoteismo la forma astratta razionalizzata, poiché è nella forma razionalizzata che la forma tiene lo sguardo rivolto solo a se stessa, e non accetta di pensarsi a contatto con l’organicità turbolenta della natura, e si nasconde (all’interno della propria struttura) dall’inquietante illusione dei sensi, dai cattivi presagi, dall’annichilimento d’ogni certezza nel relativismo:

Wilhelm Worringer, Astrazione ed empatia… p.113

Forse che questo impulso di astrazione era altro se non l’aspirazione a creare un punto di quiete nella fuga delle apparenze, una necessità nell’arbitrio, una liberazione dall’angoscia del relativismo?

Se la forma apollinea razionalizzata, è una fortezza che si protegge dai rischi estremi della vita, la dissonanza, forma dionisiaca, sia in «Schönberg maturo sia in Webern, funge persino da registrazione sismografica di shock traumatici», e

Theodor Adorno, Filosofia della musica moderna… p.49

diviene nello stesso tempo la legge tecnica della forma musicale, che proibisce ogni continuità e sviluppo. Il linguaggio musicale si polarizza verso gli estremi: da una parte produce gesti di shock, simili a brividi corporei, dall’altra trattiene in sé, vitreo, ciò che l’angoscia fa irrigidire.

La polarizzazione nella musica atonale verso gli estremi

Abbiamo così, nella musica atonale, la composizione di poli opposti: razionalità e irrazionalità, apollineo e dionisiaco si polarizzano verso gli estremi: astrazione ed empatia.
Fuori della melodia infuria il maligno, ovvero la brama di spingersi nell’infuriato della natura e nella conoscenza di ogni sua impronta.

Theodor Adorno, Filosofia della musica moderna… p.48

E la posizione di Schönberg è ugualmente polemica nei confronti del gioco e dell’apparenza.
Egli si rivolta violentemente sia contro i musicisti neooggettivi -e contro il collettivo che ha il loro stesso indirizzo- sia contro l’ornamento romantico. Di questi due atteggiamenti ha dato una formulazione: «La musica non deve ornare, dev’essere vera», e: «L’arte non nasce dal “posso” ma dal “devo”.

Con la negazione
dell’apparenza e del gioco la musica tende alla conoscenza

Con la negazione dell’apparenza e del gioco la musica tende alla conoscenza.
Ma la conoscenza si basa sul contenuto espressivo della musica stessa. Ciò che la musica radicale “conosce” è il dolore non trasfigurato dell’uomo, la cui impotenza è aumentata tanto da non permetter più né gioco né apparenza».

La musica dissonante deve soffrire

Né gioco né apparenza v’è nella dissonanza: cosicché la musica dissonante si identifica con ciò che deve necessariamente (esistenzialmente) soffrire con il dolore non trasfigurato dell’uomo.

Nella consonanza c’è consolazione

Se nella consonanza c’è consolazione, misura costantemente tenuta sotto controllo, struttura che deve sempre dare origine a una forma che deve esprimere esattamente ciò per cui è stata concepita -forma tramite cui coerentemente deve formarsi,

La dissonanza è caos ctònio, frammento, trauma

nella dissonanza invece l’imprevedibilità caotica che essa crea è stata così tanto bene congegnata che si ha la certezza, a immergersi in essa, di intraprendere un viaggio nelle viscere del mondo ctònio della natura: si evoca il frammento, l’ordine rotto, agitato da una disarmonia perversa che ci evoca incubi manifesti nell’inconscio e la performance di un’emozione torturata da traumi.
È l’ostilità della natura che nella dissonanza viene in risposta ai quesiti dell’uomo; è l’attività tellurica della terra che impegna la propria attività nel contraddire l’atmosfera pacificante del silenzio e dell’equilibrio, della sospensione degli incomodi e delle dicotomie tra cielo e terra.

La dissonanza rende i suoni oggetti

La dissonanza trasforma i suoni in oggetti; ogni nota pare venire dall’attività di un oggetto; strappata al contenuto gradevole del proprio suono, ogni nota aumenta il livello in sé di una sonorità simile al tonfo provocato da un oggetto caduto nella profonda e torbida atmosfera dell’inconscio.

La consonanza vuole un suono geometrico

La consonanza vuole, per dichiararsi, un suono geometrico, compassato, in sé compiuto da un equilibrio interiore che lo tenga lontano da elementi a sé estranei che possano incutergli paura; la superficie del suo suono non deve avere increspature, né deve interagire con gli avvenimenti che lo circondano.

Quiete sonora e imperturbabilità

Raggiungere questa quiete sonora, vuol dire per la forma musicale perseverare in uno stato imperturbato, in cui non vi sono ammesse né le distorsioni dell’inconscio né una sensorialità bagnata dall’istinto: cosicché nella consonanza mai vi potrà essere paura per l’inaspettato, o il terrore per il panico, poiché tutti questi elementi non sono da essa neppure contemplati.

Una forma sonora senza paura

La consonanza è, come la forma geometrica, una forma sonora senza paura: ed

James Hillman, Saggio su Pan. Adelphi, Milano 1992, pp.73-74

essere senza paura, privi di angosce, invulnerabili al panico, significherebbe perdita dell’istinto, perdita di connessione con Pan. I senza paura hanno i loro scudi; essi hanno interpretazioni che prevengono gli imprevisti, difese sistematiche per tenere a bada il modello della sorpresa.

L’esperienza di terrore panico e la partecipazione mistica alla natura

L’esperienza panica, fa risuonare nella visione un’immaginazione mistica: il terrore rende viva ogni immaginazione visiva; per mezzo del terrore panico, l’incubo prende forma, si rende riconoscibile, si definisce paralizzando su di sé la materializzazione di un mondo visibile solo da una percezione di panico. La percezione in stato di panico

James Hillman, Saggio su Pan… p.74

è una diretta participation mystique alla natura, un’esperienza fondamentale, addirittura ontologica, del mondo vivo immerso nel terrore.

Nella percezione panica, l’incubo non vive indisturbato, risvegliato lo sorprendiamo indaffarato a documentarci un’esperienza al limite del visibile: ogni forma inimmaginabile vi prende vita come se nulla fosse; anche ciò che non è stato scritto da nessuna parte, si scrive. Guàrdati nel terrore e vivi nel terrore: è tutto quanto l’esperienza panica ci invita a fare. Per mezzo di tale esperienza sconcertante, ci si rende vivi scongelando l’esperienza ordinaria.

La tarda dodecafonia: integrazione di ciò che è isolato

Ecco perché per mezzo della dissonanza il suono arriva a farsi percepire come un’entità sonora che si agiti in sé, prendendo forma sonora direttamente da una tempesta emotiva che avviene come in un soggetto che soffra
in solitudine, isolato da e dall’altro. Per cui

Theodor Adorno, Filosofia della musica moderna…
p.48

si potrebbe senz’altro definire la tarda dodecafonia come un sistema di contrasti, come integrazione di ciò che è isolato.

Anche nella percezione panica prende forma «un sistema di contrasti».
Gli oggetti che sensibilmente si impegnano a prendere vita sotto effetti visivi che solo l’immaginazione è in grado di far percepire, si íntegrano contrastatamente col soggetto paralizzato dallo stato di panico. Cosicché

James Hillman, Saggio su Pan… p.74

gli oggetti diventano soggetti; essi si animano di vita mentre noi siamo paralizzati dalla paura. Quando l’esistenza viene sperimentata attraverso livelli istintuali di paura, aggressione, fame o sessualità, le immagini assumono una propria irresistibile vitalità. L’immaginale non è mai tanto vivido come quando siano legati istintualmente con esso.

La dissonanza provoca un ordine tonale infranto

La dissonanza deve provocare, per Arnold Schönberg, un barbarismo sonoro che preluda, in una forma musicale dilatata, a un ordine tonale infranto, riemerso caoticamente dalle proprie macerie.
Musica come uscente dall’inconscio della follia umana: urti e spinte ritmici; rispondenze sonore dissonanti; vibrazioni disarmoniche, sotterranee; scala cromatica che, rotta da nodi di note in rimescolío, àltera l’àura degli elementi compositivi: la loro dissonanza incrina l’idea dell’opera finita.

La musica di Schönberg e la pittura espressionista: sonorità de-molitrice e gestualità emotiva della violenza

La musica di Schönberg ha molto in comune con la perdita della configurazione del compiuto della pittura espressionista. La sua sonorità affonda in un’azione demolitrice e, proprio come avviene nella pittura espressionista, la razionalità (ovvero il calcolo che costruisce l’opera d’arte secondo un ordine precostituito) è degradata alla gestualità emotiva della violenza.
Si pensi a «la “danza del vitello d’oro” che costituisce la parte centrale del secondo atto» dell’opera incompiuta Moses und Aron (1926-1951):

Armando Gentilucci, Guida all’ascolto della musica contemporanea. Feltrinelli, Milano 1983, p.383

La Danza si suddivide in cinque parti, ed in essa Schönberg utilizza con una libertà prima d’allora quasi impensabile ogni sorta di mezzo sonoro, da quello acusticamente determinato al “rumore”, dai glissandi alle corde degli archi percosse con il legno, dall’inconfondibile timbro di chitarra e mandolino al dispiegamento di un’intera orchestra di strumenti a percussione, il tutto in una struttura materica di impressionante coerenza. Ne sorge un’ossessiva e complessa sequenza in cui il furore primitivo del sacrificio suggerisce non tanto la violenza, quanto piuttosto la bestiale, cieca incapacità dell’uomo a riconoscere la “verità”. Il disgusto per l’umanità incapace di sollevarsi al di sopra delle proprie passioni si può cogliere nella sensuosità di certo erotismo orgiastico, emergente soprattutto nella parte del canto all’ultima scena della danza: un furore moraleggiante di cui però non si sottolineeranno mai abbastanza i legami essenziali con il mondo circostante contrassegnato dalla barbarie nazista.

Schizofrenia del suono, sonorità aberranti

Scatti ritmici schizofrenici, dalle sonorità aberranti, la musica -in Moses und Aron– si dispone nello spazio come un elemento scenografico in movimento: il materiale sonoro, che è nell’atto di disintegrarsi, si ricompone in una forma la cui decomposizione-ricomposizione pare avvenga all’istante, pare articolarsi in un’azione momentanea di suoni che ci trasportano nella matericità tenebrosa dell’inconscio.

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