Saggio sopra l'espressionismo

il linguaggio-strada e il linguaggio-casa

La vista: atto esterno al corpo

Per il linguaggio-strada più che vedere è indispensabile sentire, odorare, toccare. Vedere è un atto esterno al proprio corpo, il corpo viene tenuto a distanza dalla cosa vista.

Il tatto: atto che avvicina al corpo e accorcia le distanze

Per il tatto, invece, toccare è farsi toccare dalla cosa toccata; tale atto avvicina il corpo alla cosa e la cosa al corpo, non vi sono più distanze fra la cosa e il corpo. Cosicché avviene che il corpo, nell’assorbire con il tatto tutte le nozioni che gli derivano dall’aver toccato una cosa, diventi quella cosa stessa a tal punto che in quella cosa s’imprime il corpo.

Il tatto anima la cosa grazie al contatto diretto

Di conseguenza possiamo dire che il tatto è in grado di animarci una cosa, perché toccandola entra a contatto diretto con tutti i particolari del corpo della cosa toccata: la cosa reagisce al tatto come un interruttore azionato
dal contatto di un dito, si accende di particolari, illuminandoci un paesaggio brulicante di forme.

Il linguaggio-strada predilige il tatto per vedere le cose

Il linguaggio-strada predilige il tatto per vedere le cose, perché ciò che ha visto col tatto non l’ha soltanto visto, ma l’ha anche toccato. E nel toccare ha, di riflesso, fatto vedere agli altri sensi ciò che ha visto toccando.
È nel toccare che il corpo si estende al di fuori di se stesso, si lancia per così dire su quello che tocca, lasciando in ciò che ha toccato parte di sé; e quella parte di sé, lasciata nella cosa toccata, gli viene restituita insieme a tutte le parti della cosa toccata.

Interscambio e compenetrazione dei corpi

Siamo alla compenetrazione fra due corpi, all’interscambio: ciò che proviene dall’ambiente relativistico della strada è già di per sé compenetrato dal flusso dell’organismo collettivo che la strada accoglie in sé.
Ciò che è sostanziale alla strada, rapportandosi al flusso dell’organismo collettivo, è un corpo linguistico costituito da realtà sensoriali che liberano il linguaggio dall’intimità astratta della parola, per condurlo a esprimersi col codice sensoriale della corporalità.

Nel linguaggio-strada la parola è materia con peso e volume

Il linguaggio-strada è corpo che s’anima di gesti corporali. La parola è materia ed ha un suo peso e un suo volume: la sua sonorità può essere dunque vibratile, opaca, grassa, e le si può opportunamente dare una consistenza organica a effetto fluido, solido, gassoso o liquido; il suo discorso può anche avere un’altezza, una larghezza e una profondità capaci di rialfabetizzare il linguaggio, di cui si serve, con parole che non siano state addomesticate dal proprio significato, ma che abbiano prevaricato il proprio significato con l’adozione di risposte muscolari provenienti dalla mappa corporea della strada.

Il linguaggio-casa è alla ricerca del piacere che soddisfi le aspettative.
Il linguaggio-strada è
guidato dalla percezione del piacere e del dolore

Se il linguaggio-casa è, mettendosi al riparo dall’esterno, alla ricerca di un piacere che soddisfi appieno le aspettative del suo piacere, tant’è che l’ordine da essa organizzato nel proprio spazio non è che un luogo modellato sull’attenzione al suo desiderio di piacere e di piacersi per quello che è (spazialità condotta in termini tradizionali da un ordine fermo al proprio valore
di non contaminazione con altri sistemi di ordine), il linguaggio-strada, per soddisfare il proprio piacere, non adempie a nessun ordine che non venga ordinato da un ordine condotto dagli opposti, esso cioè cerca sempre di guidare il suo linguaggio alla percezione sia del piacere che del dolore. Partendo da queste «prime idee» da cui nasce, poiché

Étienne de Condillac, Trattato delle sensazioni. Laterza, Bari 1970, p.71

in realtà le nostre prime idee sono soltanto dolore o piacere,

vorrebbe con queste, aprendosi al pluralismo sensoriale, concedersi persino la facoltà di muoversi anche in ambienti traumatici, per ricavarne sensazioni altre.

Dolore e piacere fanno nascere i desideri

Infatti, per dirla ancora con Condillac, alle «prime idee» di dolore e di piacere, tosto altre succedono, e dan luogo a confronti, donde sorgono i nostri primi bisogni e i nostri primi desideri: la ricerca dei mezzi per soddisfarli ci arricchisce poi di altre idee, che producono sempre nuovi desideri.

Il linguaggio-strada è tatto, erotismo, rivoluzione

Fuori dagli addomesticamenti sessuali, c’è un erotismo del tatto che nessuna esperienza reprime pur di abbattere la proprietà privata del piacere onanistico. Tramite il tatto, il piacere del corpo si rende adattabile a tutto: alla liberazione dei bassi istinti come alla socializzazione aperta di tutti i sensi.
Percorrendo col tatto tutte le strade del corpo, tutte le zone erogene di esso vengono soddisfatte, e la perdita d’orientamento che si verifica nel percorrerle, a causa del senso di ebbrezza che ne deriva, viene vissuta come trasgressione e apertura totale dei sensi, che, liberati, divengono liberatori e non si muovono più secondo una interna gerarchia, ma tutti insieme: e tutti insieme liberalizzano la pelle, rendendola disponibile a captare ogni forma di emozione.

La fantasmagorìa del mondo provocata dalla spirale sensoriale

Il linguaggio-strada è dunque quella fantasmagorìa del mondo provocata dalla spirale sensoriale, entro cui le trame della vita tessono la loro vocazione a prescegliere, per la sopravvivenza dei propri stati di ebbrezza,
informazioni dal mondo, capaci di intensificare emotivamente il loro attaccamento ai piaceri della vita.

Moltiplicazione di sensazioni e rivoluzione sensoriale

Il linguaggio-strada è tatto: tocca cogliendo tutto quello che è possibile cogliere a quel contatto; è moltiplicatore di sensazioni e rivoluzione sensoriale. Il corpo più sensibile al tatto è inevitabilmente portato a sovvertire il marchingegno del suo intero organismo sensoriale; è ingresso tramite cui tutti i fenomeni ambientali, caratterizzati dai propri eventi, possono entrare nella sua sfera personale per depositarvi territori, i cui aspetti spaziali coincidono con tutte quelle visioni strappate alle moltitudini sensoriali di un corpo assorbente senza frontiere, flessibile a ogni tipo di vibrazione emotiva.

Cosicché è il linguaggio-strada a dirci:

Thomas Hulme, Meditazioni, Vallecchi, Firenze 1969, p.169

Tutta la poesia è di competenza del corpo, vale a dire che, per essere reale, deve influire sul corpo.
Non v’è centro di gravità da tenere in conto da parte di chi segue i comportamenti viscerali della strada.

La strada è sempre viva e in movimento

La strada non governa nulla, è governata dalla forza cieca di un via-vai inarrestabile, ed è ciò che, accadendo ex abrupto, rimane sempre vivo e in movimento. La strada è il tempo che passa, il passato già passato, il presente sensibile all’appello dell’oggi. Non v’è nulla sulla strada da tenere confinato in sé, tutto è terribilmente senza confine. Chi su di essa vi passa, s’allarga alla comunicatività schietta del largo: s’apre alla sostanziale conoscenza della quotidianità, comunica anche con ciò che costituisce un pericolo.

La strada è simile alla natura ctònia della donna

La strada (parola al femminile) è molto simile alla natura ctònia della donna. La strada è il meato uretrale che porta all’utero. Sulla strada si sta al gioco dell’imprevidente. Tutto ciò che lì accade, accade inaspettatamente.
La strada ci tira nel ventre della temerarietà, del rischio, dell’inconsideratezza: è il collo dell’utero in cui, entrando, tutto potrebbe accadere per impulsione e spinta, e tutto lì potrebbe essere rischiosamente in urto. L’utero ci rimanda alla natura, allo stato brado.

È all’inizio di tutto, in cui tutto ha da essere

È come essere all’inizio, tutto ha ancora da essere, e tutto potrebbe essere, si è aperti a tutte le situazioni, si è
pronti a intraprendere tutte le direzioni. La strada non organizza comportamenti, ma offre all’improvvisazione la capacità di trovare risposte adeguate a ogni qualsivoglia comportamento.

La strada impegna le
emozioni in libertà

La strada impegna le nostre emozioni in una condotta di libertà. E la vertigine di libertà che da essa deriva ci assegna inquietudine, apprensione, incertezza: non v’è libertà senza l’inatteso e l’insperato, senza attrattive, senza predisposizione a contraddire la gravitazione universale.

Via libera alle trasformazioni e sperimentazioni

La strada non è asservita da leggi e sistemi acquisiti per sempre, ma è ciò che si muove sulla modificazione del già acquisito, lasciando posto al deliberato desiderio di promuovere trasformazioni e sperimentazioni. Per chi
percorre strade, tutto gli danza attorno: ciò che ha conosciuto secondo la maniera con cui gli è stato imposto di conoscere, gli piove addosso come un
oggetto ancora da scoprire.

Capacità di scoprire nuove strade su strade già percorse

La strada non porta all’acquisizione dell’eterno trascurando di bagnarsi nel presente, ma è la capacità di scoprire strade nuove su strade già percorse, di rendere conto a se stessa delle nuove conoscenze che fa nel presente.

L’imprevisto e i lati oscuri della vita

Al viaggiatore la strada mette a disposizione l’imprevisto, l’inesplorato in cui l’indefinito spinge a desiderarlo non solo per quello che è… ma anche
per gli aspetti inaspettati che il suo mondo darebbe da vedere.
La strada ci mette di fronte ai lati oscuri della vita. Il rischio non ci impaurisce ma ci attrae, e l’ansia di arrischiarci a conoscere ci spinge a ri-vedere anche tutto ciò che la società educatrice ha censurato.

Sulla strada tutti si incontrano e nulla rimane per sempre

Sulla strada nessun incontro è escluso e nessuno è escluso dagli incontri.
Tutti hanno la possibilità di incontrarsi.
Sulla strada nulla rimane lì per sempre. Ogni cosa che trànsita sulla strada passa come indeterminato: è sempre sul punto di modificarsi a seconda dei punti di vista da cui il nostro occhio getta il proprio sguardo.

La strada è il luogo della sinestesia: tutti i sensi sono in ascolto

Sulla strada tutti i sensi si mettono in ascolto, ed è come se ascoltassero tutto per la prima volta. La strada è il luogo della sinestesia: tutte le situazione penetrano i sensi, tutto ciò che avviene viene sentito e osservato con
tutti i sensi.

Parola, suono, colore, immagine agiscono contemporaneamente

Un suono viene recepito anche per il suo colore, così come un’immagine viene toccata anche per l’odore suscitato dalla trasmissione della sua configurazione. Parola, suono, colore, immagine agiscono contemporaneamente generando sensazioni non assimilabili da un solo punto di vista.
Può quindi accadere, sulla strada, che un suono appaia dipinto da un linguaggio verbale trasmesso tramite una forma acustica; che un’immagine ci permetta di connetterla a un odore; che un odore ci informi sullo stato della propria forma, acquisita dalla relazione che ha avuto con gli altri sensi.
Tutto ciò che sulla strada si incontra si avvale di svariati segni per comunicare.

La lettura pluralistica dei segni della strada

La decodificazione di tali segni può effettuarsi solo sulla base di una lettura pluralistica, che non tenga convenzionalmente conto dei metodi di indagine già acquisiti, ma da re-inventare a seconda dei casi. La strada è lo spazio attraverso cui il mondo passa: lì… il mondo registra ciò che vi incontra; trasmette, con un linguaggio in fieri, il pluralismo semantico, racchiuso nei messaggi inviati dalla multiformità dei segni. Ogni informazione acquisita sulla strada è da associare a diversi significati, c’è sempre un’altra immagine nell’immagine recepita, dietro a ogni sensazione c’è sempre un’altra sensazione che si fa strada attraverso la circolazione di segnali che vengono di volta in volta animati dalle sensazioni da cui provengono.

Ogni sensazione acquisita emana segni che suscitano altre sensazioni

Sulla strada ogni sensazione acquisita emana segni che a loro volta suscitano sensazioni altre da quelle acquisite.
Tutto sulla strada si muove in autonomia, scegliendo a piacere, a seconda dei casi, o un percorso razionalizzato sulla base di ciò che la strada indica, o un percorso su cui ci si avventura rischiando, affidandosi all’istinto e all’intuizione.

Per la casa si lascia la strada, ci si difende da essa

Il luogo chiuso della casa è la semplificazione della rinuncia. Per la casa si lascia la strada, ci si difende da essa, dai suoi spazi aperti, dai suoi attacchi imprevedibili. La casa è, semanticamente, l’ambiente tappato che si contrappone a quello forato della strada.

La casa è forma chiusa e identità invulnerabile alla marginalità

Se la strada ci assegna posti marginali, perché i suoi spazi illimitati ci rimpiccioliscono, la casa invece è il luogo in cui non solo la nostra identità
si rappresenta a tutto volume, ma acquista anche più valore per sé: l’identità è invulnerabile alla marginalità, la sua forma chiusa esprime la supremazia fisica su ciò che è attraversato dallo sforzo di attraversarsi, di forarsi sino a perdere una propria specifica identità.

La strada è l’ermafrodito, equilibrio degli opposti

La strada è l’ermafrodito, l’ambivalenza, un sesso che ha avuto in adozione la pluralità dei sessi, è il contrappeso e l’equilibrio fra gli opposti. La casa è la contrapposizione al pluralismo degli opposti. In essa, lo status sociale del proprio luogo è espresso da identità chiuse in sé, che si bastano, che non accettano la differenza e l’alterità, ma che formalmente e sostanzialmente si mettono in difensiva nei riguardi di ogni cosa che possa, con la propria diversità, turbare e incomodare il centro intorno al quale gira, a circolo
chiuso, il proprio quieto vivere.

L’individuo e la sua funzione sociale si affermano nella casa

La casa è il centro in cui la centralità di un individuo raggiunge il massimo della sua autorità: è con essa che l’autorità di una casta espone il proprio status symbol, affermando la propria posizione sociale. La casa non è
oltre la finestra, non è fuori ma dentro, è in se stessa ed è portata a vedere solo se stessa, tutt’al più guarda fuori di se stessa standosene incollata davanti alla finestra.

La casa osserva il mondo senza partecipazione, rifiuta ogni
forma di contaminazione

Osserva il mondo senza partecipazione. Nulla può contaminarla, perché rifiuta per sé ogni forma di contaminazione, per questo se ne sta chiusa entro quattro mura: vedere il mondo senza sporcarsi, vedere la strada senza la fatica di percorrerla, standosene in isolamento.

Spazio innaturale della casa, spazio naturale della strada

Lo spazio della casa è innaturale, quello della strada naturale. La casa è inseparabile dal proprio Io, è l’interiorizzazione dell’incomunicabilità, è ciò che da se stessa non si muove per andare incontro all’Altro, non è alla ricerca del dialogo ma del soliloquio o, nel miglior dei casi, del monologo.

La casa cerca il monologo, la strada cerca il dialogo

La strada cerca il dialogo, vuole incontrarsi con tutto ciò che su di sé trànsita, vuole essere dappertutto, trascorrere il proprio tempo a spingersi oltre se stessa, prolungandosi il cammino per percorrersi, attraversarsi.
La casa è autoritaria, decide da sé e per sé chi far entrare e chi no. La strada è democratica, tutti possono percorrerla.

La casa è autorità, vincolo, stabilità

La casa víncola, la strada svíncola; la casa incàrcera, la strada scàrcera; la casa allàccia, la strada slàccia; la casa crea dipendenza, la strada indipendenza. La casa è assoggettamento, la strada emancipazione. La casa inibisce, la strada disinibisce. La casa vorrebbe perpetuarsi così come è, non ama il volubile né il mutevole, non sopporta movimenti (a ogni cosa spetta il suo posto), e non è né fluente né elastica.

La strada è democrazia, svíncolo, mutevolezza

La strada di converso è l’instabilità del volubile, ed è fatta per il passeggero e il fugace, per il temporaneo e il transitorio.

La strada segue le strade, la casa è ferma

La strada segue le strade: ogni strada porta ad altre strade. La casa è ferma nel proprio ambiente, non aspira a raggiungere nulla perché ha già raggiunto, e non si muove in nessuna direzione poiché è il proprio spazio a
costituire la direzione, unica e direttamente collegata esclusivamente a se stessa.

La casa è l’incarceramento: ha un ordine preciso all’interno

La casa è intollerante: perché il suo spazio possa essere fruito al meglio, non tollera disordine, non permette alle cose di spostarsi da dove sono state collocate. La casa è perciò l’incarceramento: a ogni cosa è dato il diritto di muoversi nella propria cella secondo un preciso ordine imposto. La casa assegna, numerizza, preordina: colloca su misura il suo spazio per ogni cosa, e ogni cosa per il suo spazio.

La casa protegge dall’estraneo

L’organizzazione viene imposta in maniera categorica e imprescindibile. La casa è fatta per proteggersi. Da chi? Da tutto ciò ch’è fuori di essa, da tutto ciò che suona per essa estraneo. La casa costituisce il principio secondo cui tutto ciò che non è con essa, non le appartiene: essa prende in considerazione solo ed esclusivamente se stessa; è per se stessa.

Per la casa l’Altro è
familiare-non familiare

L’Altro viene dalla casa burocratizzato secondo il rigido modello: familiare-non familiare. La casa parte dal preconcetto che niente che derivi dall’Altro da sé può esserle familiare: tutto ciò che provenga da altri luoghi, che non siano i suoi, non può esserle in alcun modo familiare.

L’Altro in casa è sempre l’estraneo

Per la casa l’Altro è sempre l’estraneo che va considerato come tale.

L’Altro in strada è parte essenziale di essa

Per la strada, invece, è soprattutto lo straniero parte essenziale della strada: non può esservi strada senza il pellegrino, l’immigrato, il forestiero, il diverso: la strada è di per sé il luogo su cui transitano tutte queste differenti entità, e non può esservi strada senza questa condizione: altrimenti sarebbe un vicolo cieco.
La casa ha timore persino del pellegrino che bussa alla sua porta; in essa ci si mette sempre in stato di difensiva verso l’Altro. Per la strada tale condizione non esiste, poiché essa è il luogo entro cui il pellegrino può a suo piacimento transitare. Essa è il luogo del pellegrinaggio. La strada è fatta per portare da un mondo a un altro.

La casa in sé accoglie solo la semplificazione dei propri
bisogni

La casa è fatta per star ferma, è disinteressata all’Altro, in sé accoglie solo la semplificazione dei propri bisogni.

La casa è chiusura, la strada apertura

La casa è tutta orientata verso la chiusura, la strada verso l’apertura. La strada è proliferativa e confluisce all’adattabilità, a non escludere da sé nuove prospettive che si aprano su indefiniti percorsi. La casa è caratterizzata dal controllo dell’individualizzato, vive nell’inquadramento di uno spazio adeguato solo a contenere se stesso: spazio selettivo, determinato a condizionare l’attenzione su di sé, radicato a stabilizzare tutto ciò che è già di per sé stabilizzante.

La casa si tiene per sé ogni cosa che contiene, la strada lascia andare ogni cosa

La casa si tiene per sé ogni cosa che contiene, ama possedere totalmente ciò che contiene, la sua funzione predominante è quella di ingoiare: spazio dall’ambiente chiuso, in cui tutte le cose appaiono riposte definitivamente nel proprio stomaco. La strada è tutta finalizzata a lasciare andare ogni cosa, è incompatibile con l’ingoio, non possiede, è solo costellata da stimoli che svegliano il desiderio di viaggiare e di far viaggiare; non conosce altra procedura nel viaggiare se non quella di allontanarsi dal suo solito percorso.
La casa è rassicurante, la strada rende inquieti. La strada spinge a esplorare, a presumere che ogni conoscenza appartenga all’insaziabilità.

La casa: spazio-fortezza come le chiese romaniche

La casa è sazia di sé, ed è colma della sua consuetudine a essere costantemente quello che è e a procedere dal nucleo del proprio io per arrivare in se stessa. La casa è concettualizzazione di uno spazio-fortezza.

Arnold Hauser, Storia sociale dell’arte (vol.I)… p.210

Come accadeva per le «chiese romaniche, (…) chiamate fortezze di Dio», che non venivano edificate
«per i credenti, bensì a gloria di Dio», così è accaduto per la casa che, in qualità di fortezza dell’Io, viene tuttora edificata a glorificazione dell’Io-Dio di chi ci abita. L’arcaismo delle chiese romaniche, per ottemperare al ruolo di «fortezze di Dio», richiedevano «un volume opprimente», una «calma severità», e «forme semplici, stilizzate, geometriche».

La casa dà importanza all’Io che ci abita

Tutto ciò lo si riscontra anche nella casa: scatola sottovuoto, quattro semplici pareti a funzionamento razionalizzato, spazio efficiente la cui utilizzazione è dare importanza, custodendolo, all’Io di chi ci abita.
Spazio assuefatto a esprimere calma e protezione, la casa è la nicchia ideale entro cui collocare l’Io al sicuro. La casa è la sede dell’Io, la realtà è tutta interna, l’Io rivendica il suo possesso e se ne appropria, l’Io vive, lontano dalle attività del mondo, la sua dimensione personale. La prima preoccupazione dell’Io è possedere l’oggetto delle sue brame: nel suo modello individualizzato nessun altro oggetto, differente da quello desiderato, può prendervi posto: accogliendolo, l’Io introdurrebbe in sé una minaccia al proprio mondo privato.
La casa è lo spazio che meglio aiuta a far fronte allo spirito di sopravvivenza. Incorporata nel proprio corpo, incellophanato dal proprio spazio, si protegge dai batteri che potrebbero intaccarla, contaminarla.

Tra le mura può accadere di tutto lontano da occhi indiscreti

Di qui la casa come territorio neutrale: tra le mura domestiche tutto può accadere, tutto può essere tenuto lontano da occhi indiscreti. Lo spazio della casa va sempre e solo dentro se stesso, non conosce altri spazi ove andare. È uno spazio che se ne sta chiuso, fermo a se stesso perché è del tutto incapace di riuscire a padroneggiarsi in altri spazi. È spazio depresso, impossibile da divezzare poiché il divezzamento può solo avvenire a contatto con la realtà di-fuori.

La strada è l’attacco all’assolutismo dell’Io

La strada è l’attacco alla privatizzazione dell’Io, il suo organismo, sedimentatosi in infinite emozioni, è violazione all’apparato assolutistico dell’Io. La strada è desiderio di spingersi oltre il proprio vissuto, è forza
propulsiva che vorrebbe aggiungere altra vita alla propria vita, è fonte di energia inesauribile per l’appetito del suo desiderio di conoscenza.
La strada non ama soltanto i suoi pellegrini, ma anche quelli incapaci di spostarsi, di viaggiare.

La casa ama solo chi ci abita, nega l’asilo agli estranei e modifiche al proprio spazio

La casa invece ama solo chi ci abita, è capace di negare l’asilo agli estranei, ed è quanto di più cinico v’è nel rifiutare per sé ogni modifica al proprio Io, al proprio spazio.

Casa personale, strada interpersonale

La casa è personale, la strada interpersonale. La strada favorisce l’adattamento sociale, conduce sempre ad altre strade e ognuna stimola a percorrerne altre. La predisposizione di una strada a sfociare in altre strade è segno che tutta la sua natura, e la maniera con cui si caratterizza viaggiando in se stessa, è attribuibile agli stimoli che le derivano dagli eventi con cui di volta
in volta si trova a interagire.

Nella strada non si è mai soli anche quando si è soli

La strada è un luogo affollato: sulla strada si può essere in tanti o da soli, ma anche quando si è da soli non si è mai soli, tutt’intorno brulicano infinite presenze tramite le quali, a volerle prendere in considerazione, si viene inevitabilmente proiettati in nuove situazioni che ci avviano al dialogo con quanto percepiamo. Cosicché si finisce per acquisire comportamenti e pensieri nuovi, a seconda degli stimoli che ci provengono dal dialogo in atto.

La casa è un oltraggio alla libertà istintuale dello spazio

La casa è un luogo isolato, il suo isolamento è muscolare, avviene in conseguenza alla sua inadeguatezza col mondo esterno: pur di mantenersi al di qua del mondo esterno, la casa violenta con la propria forza un pezzo di spazio per adattarlo alle proprie esigenze; ogni mattone che pone su di sé è un oltraggio alla libertà istintuale dello spazio. Lo spazio infatti viene compresso tra mattoni perché venga adattato alla necessità della casa. La casa non ha nessun impulso a sentire ciò che accade fuor di se stessa. Alla casa non interessa sviluppare la capacità di sentire l’esterno, e non avanza per sé pretese di conoscerlo.

La casa è protagonista e non accetta l’antagonista

La casa esiste senza esser parte del mondo; come l’Io, è tutta concentrata sulla messa in scena di se stessa, recita ogni giorno la sua parte da protagonista senza mai accettare sulla propria scena la presenza di un antagonista.

L’Io narcisista continua a vedere se stesso come identico a se stesso

È l’Io che fa uso del suo narcisismo: ciò che ha ragione per sé di essere, è tutto ciò che comincia e finisce in se stesso. Anche quando si guarda allo specchio… l’Io non vede l’altra immagine di sé che s’è rimpicciolita specchiandosi, ma continua a vedere se stesso sempre identico a se stesso, e si compiace di ritrovarsi così com’era prima che si specchiasse.
La casa è quel «nessuno si permetta, senza il mio consenso, di entrare in gioco col mio spazio…»

La casa è il poeta dell’Io: tutte le parole conducono a sé

La strada è quel «venite a giocare con me… suggerisco io il gioco da farsi o lo suggerite voi?» La casa, come l’Io, è completamente preda dei propri problemi. In questo senso il poeta dell’Io è la casa: ci parla di sé con l’assoluta consapevolezza che il suo mondo è più significativo di ogni altro, ecco la ragione per cui vale la pena di parlarne. Tutte le sue parole ci conducono a
sapere di sé. Per sé esiste solo se stesso, ciò che nel mondo accade non ha nessun peso, o potrebbe averne solo se incidentalmente il suo Io è stato dal mondo ferito. In questo particolar caso non farebbe altro che parlarci del modo con cui il suo Io è stato ferito.

L’aria viziata della casa contro il sudore del mondo

Al poeta dell’Io (intento a padroneggiare il proprio Io col mettere al centro del mondo la propria divina essenza) e alla casa (che guarda con sfiducia verso il mondo esterno, dichiarando che l’assuefazione alla propria aria viziata, che figura nel proprio spazio come ordinamento di un nuovo complesso di difesa, è ciò che ha sempre voluto adeguatamente perseguire per non dover odorare la graveolenza del sudore del mondo), il mondo esterno
(cioè la strada) dice:

André Breton, Prolegomeni a un Terzo Manifesto del Surrealismo o no (1942), in André Breton, Manifesti del Surrealismo, Einaudi, Torino 2001, p.223

Ti garantisco che questa volta non mi chiudono il becco in nome dell’Ente supremo e che non si faranno le cose con economia perché è tempo che ci rifiutiamo di mandar giù tutte quelle cartacce di pelandroni che ti ordinano di startene a casa tua senza dare ascolto alla
fame. Ma, porca miseria, guarda dunque la strada, è così curiosa, così equivoca, così ben sorvegliata, eppure sarà tua, è magnifica.

La casa si nutre solo di se stessa. Fuori della rassicurazione di una quiete protetta, che solo il proprio grembo le può dare, non vive né si distacca da ciò che ha stabilito per modello sin dalla sua infanzia: un luogo incatenato al suo ombelico, dentro cui riposarsi dalle intemperie dell’esistenza. La casa è una difesa mentale contro tutto ciò ch’è precario e diverso da sé. Le riesce
difficile lasciarsi invadere dalla mancata conclusione di un sogno.

La casa vive in un sogno, rifiuta il linguaggio relativizzato

Vivendo perennemente -o finché dura- in un sogno, si muove in esso affermandosi come luogo abbinato alla salvaguardia del riparo e del suo custodimento. Indietreggia di fronte a qualsivoglia flusso verbale che si esprima emotivamente, vomitato dalla disfunzionalità del diritto alla libertà di espressione; rifiuta il linguaggio relativizzato; desidera che tutto sia riassunto in formule, tramite un linguaggio immediatamente codificabile.

In casa tutto si svolge secondo l’inerzia di un circuito bloccato

La casa non ama vivere la propria storia da angolature diverse; una volta entrati in essa, tutto si svolge secondo l’inerzia di un circuito bloccato, legato ai propri riti di autodifesa e di autocompiacimento.
Stando in casa (ovvero nel proprio Io) tutto ciò che -gettato nella vita della strada- ci pulsava addosso, viene rimandato indietro: ogni apertura mentale, ogni allargamento linguistico, ogni irraggiamento di emozioni viene spezzato. E lì… ci si aggrappa a un cuore cardiopatico: ogni forma di emozione viene tenuta a distanza, potrebbe nuocere alla salute del cuore.

La casa è l’attaccamento alla propria madre, rassicurante come un utero

La casa è l’attaccamento alla propria madre: una volta entrati in essa, veniamo catturati dalla sofficità rassicurante di un utero. Si galleggia in un liquido amniotico proporzionale a una sensazione di morbidezza. Tutto quello che si percepisce in una casa è relativo al suo ambiente. Fuori, la vita urla? viene assalita da uno dei tanti suoi predatori? disturbi di personalità frequentano il suo habitat, gettandole addosso le scorie delle loro nevrosi?
Nei riguardi di queste domande, la casa resta impassibile, resta imperniata solo sulle annotazioni che potrebbero derivare dal suo egocentrismo. È tutta impegnata a mantenere il proprio equilibrio nel modellarsi sull’autoefficacia del proprio Io, che mai distoglie lo sguardo da se stesso. La casa è intrappolata in una banale dipendenza da se stessa. Non assimila esperienze se non dal suo luogo: tutto viene organizzato e mosso sul rinforzo dell’autocontrollo: acquisisce maggior controllo su se stessa per distaccarsi sempre più dall’esterno.

La casa si distacca dall’esterno, fa a meno delle relazioni interpersonali, non accetta il dialogo

La casa infatti fa sempre a meno dei rapporti interpersonali, non accetta cambiamenti che potrebbe subire da un processo dialogico fra sé e
l’Altro, il suo ambiente gerarchico non accetta variabili.

Lo spazio cubico del possesso

La casa è legata a uno spazio che, geometricamente, s’adatta al suo singolo caso, è spazio puntato su se stesso secondo l’andamento cubico del suo ordine chiuso nel proprio esibizionismo: la casa permette a chi vi abita di mostrare orgogliosamente (a chiunque vi entri) la mappa del proprio successo: io possiedo, quindi sono.

Il linguaggio-casa parla a se stesso, non si arricchisce di nuove risorse comunicative

Il linguaggio-casa è a struttura chiusa, la sua comunicazione è strettamente ristretta a se stessa, e a chi privilegia non solo l’emotività dell’Io ma anche l’impoverimento di un linguaggio fruibile solo per mezzo di un discorso adattato alla sua soggettività e alla sua appartenenza a una comunicazione ordinaria, riconducibile solo alla propria storia.
Il linguaggio-casa non è indagine e non è critica, è un linguaggio del tutto personale che parla a se stesso, disponibile a sentir parlare solo di sé o tutt’al più disposto ad ascoltarsi passivamente, senza compartecipazione.

Il dizionario del linguaggio-casa è per una comunicazione omogeneizzata

Il suo dizionario deriva da un repertorio funzionale a una comunicazione omogeneizzata; ciò che cerca di comunicare è sempre un valore di verità con la pretesa di oggettivare la propria verità. Il linguaggio-casa non mira a interpretare i processi dell’esistente né a compensare il proprio Io col rintracciare in altri linguaggi ciò che potrebbe arricchirlo con altre risorse comunicative. Esso fonda il proprio linguaggio sulla gestione di se stesso. Non affronta percorsi che potrebbero portarlo fuori dal proprio seminato, alla ricerca di altre forme di comunicazione, ma vuol essere, nonostante tutto, ciò che è per sé, e ciò che è per sé vuole che lo sia anche per gli altri.

Il linguaggio-casa è convinto di essere comprensibile a tutti

Il linguaggio-casa si esprime congelato in falsi miti: crede che l’appiattimento operato dal linguaggio sia l’anticamera al paradiso terrestre, in cui tutti possano comprendere il linguaggio di tutti sulla scorta di un’uguaglianza linguistica repressa nell’uniformità di un’espressione contraddistinta dal conformismo e da un’ideologia coercitiva.

Il linguaggio-strada è eterogeneità, non ha confini geografici

Il linguaggio-strada è invece incapace di riconoscersi per quello che è, non vive in sudditanza con l’Io né in funzione dell’autoritarismo generalizzato di una lingua omologata alla comprensione di tutti.

Aperto ai linguaggi antitetici, il linguaggio-strada ci ricorda il diritto di cittadinanza del linguaggio inorganico

Il linguaggio-strada è devianza e rischio; è eterogeneità; è irriducibile a un linguaggio monofunzionale piegato alla committenza di chi detiene il potere informatico; è senza confini geografici poiché la sua forma ha ucciso la patria dell’Io; è lo spazio di un discorso in cui l’architettura di linguaggi antitetici favorisce la legittimità alla rottura di un’urbanistica monodimensionale, ricordandoci che nella fluidità di un’espansione spaziale multiforme, qual è l’informatizzazione enfatizzata dal pluralismo linguistico della modernità, anche un linguaggio inorganico avrebbe diritto di cittadinanza.
La struttura linguistica del linguaggio-strada è sempre in dispersione, emana conflitti che a loro volta si aprono alla frammentazione delle identità collettive, sulla traccia di una fruizione del mondo pluridirezionale e plurisensoriale.

Il linguaggio-strada è poligamía linguistica, ogni linguaggio sceglie di esprimersi secondo le proprie regole e anche di rinnegarle

Se il linguaggio-casa è imposizione di una fruizione linguistica monogamica, il linguaggio-strada è poligamía linguistica, è il libero consenso alle varianti dei legami linguistici. Nel linguaggio-strada non si stabiliscono regole, ovvero ogni linguaggio è libero di esprimersi secondo le proprie regole, o addirittura rinnegarle formulandone altre o liberandosene definitivamente; non v’è sopraffazione linguistica da parte di un solo linguaggio, esso alleva in sé disparati linguaggi, anche quelli marginali al sistema vigente,
anche quelli che si pongono in contraddizione alla democratizzazione coercitiva, imposta dai sistemi dominanti.

Il linguaggio-strada e l’eventualità del nuovo, non riducibile all’azione di un linguaggio che appartiene a una sola cultura

Il linguaggio-strada mostra sempre l’eventualità che possa in sé accadere qualcosa di nuovo; è un’azione che mai si compie nella propria azione, un’azione che lavora assiduamente per azionarsi in molteplici azioni; non è
riducibile alla sola azione di un linguaggio appartenente alla sola propria cultura, ma è azione che sprigiona al massimo tutte le azioni che provengono da linguaggi appartenenti a differenti culture;

Uno spazio senza
luoghi, uno spazio con molti luoghi

è geograficamente uno spazio senza luoghi, anzi il suo spazio contiene luoghi che hanno potuto situarsi liberamente in tanti altri luoghi, lasciando a se stesso a volte la facoltà anche di non contenerne, per restare completamente libero di contenerne altri… e altri ancora.

Il linguaggio-strada è uccisione del permanente, ricerca sperimentale

Il linguaggio-strada è deflagrazione, moltitudine, sconfinamento, trasversalità, collettività, totalità, gesticolazione della parola, mímica del corpo sonoro del discorso, stimolo sonoro-visivo, uccisione spontanea di tutto ciò che permane nel permanente, ricerca sperimentale incondizionata, varietà, disfunzionalità, variabilità.

Nessun’attrezzatura linguistica universalmente adottata

Nel linguaggio-strada vigono ordinamenti di permissione, nessun linguaggio agisce in esso subalterno all’altro, nessun linguaggio si esprime tramite un’attrezzatura linguistica universalmente adottata dall’universo di tutti, e ciò perché il linguaggio-strada non mira alla proprietà privata, non mira a
effettuarsi secondo la modalità offerta da condizioni stabili.

Capovolgimenti e rovesciamenti delle regole

Ama muoversi in capovolgimenti, in dinamiche che azzardano rovesciare qualunque regola egemonica che si prodighi per la propria conservazione. Non si lascia imbrigliare dal non dire ciò che vorrebbe liberamente dire, è libero di dire.

Per il linguaggio-strada la bellezza è ciò che si spinge dentro vita e morte

Che cos’è la bellezza per il linguaggio-strada? È un viaggio indissolubilmente legato al pericolo di vita. È ciò che si spinge sin dentro al perenne conflitto fra vita e morte, per scongiurare l’autorità sacrale della morte e
impossessarsi del dinamismo della vita.

Il tessuto sociale viene esplorato in tutti i suoi aspetti

Il tessuto sociale dell’esistente viene esplorato in tutti i suoi aspetti: tutto quanto incontra viene dal suo viaggio sollecitato a fornire imprevisti; è per il rischio e per tutte le sue variabilità sensomotorie. Tutto il suo materiale di ricerca sarà utilizzato persino allo scopo di mutare le proprie percezioni sensoriali.

Un viaggio sporco come la risalita da un pozzo di fango

Tutti i suoi sforzi, utilizzati per le esigenze del suo viaggio, sono paragonabili a quelli di un uomo che tenti di risalire un pozzo di fango non appena vi sia caduto dentro: si aggrappa al fango inospitale della trivialità di strada per risalirvi in superficie e, una volta in superficie, inizierà a enumerare tutti gli aspetti del terriccio che gli si è attaccato addosso, e tutti gli incubi terrorizzanti vissuti in quel momento, mentre sprofondava nel fango, saranno computati e valutati, poiché è un viaggio che ha ragion d’essere solo se ci si avventura in tutti gli aspetti dell’esistenza.
Un’arte che provenga dal linguaggio-strada ci dice che

Ugo Foscolo, Sulla lingua italiana. Discorsi sei in Prose, Società Anonima Notari (IEI), La Santa, Milano 1929, VII, pp.125-126

il poeta, il pittore e lo scultore non imitano copiando, ma scelgono, combinano e immaginano perfette e riunite in una sola molte belle varietà che forse realmente esistono sparse e commiste a cose volgari e spiacevoli, ma che non esistono, o almeno non si veggono né perfette né riunite in natura.

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