Vedere ed essere visti -dialetticamente- da ciò che vediamo, assumere il linguaggio del mondo e parlare tramite la sua lingua, essere intransigenti nel criticare se stessi e il mondo, mantenersi lucidi nell’interpretazione dell’esistenza vuol dire, per l’Espressionismo, non essere attraversati dal bisogno del mito (cioè elaborare una resistenza al reale, rendendolo immaginario), ma essere in comunicazione con quanto pènetra, soffrendo, l’istituzione della degenerazione del reale stesso.
Se il Bello è riconoscibile dal suo bisogno di rendersi eterno, di mitizzare se stesso, di riflettere in sé la logica soprannaturale del mito, che è fatalmente ciò che resta irraggiungibilmente fisso su se stesso («il mito -enuncia D. Suvin- assolutizza e addirittura personifica motivi apparentemente costanti che appaiono in periodi di dinamica sociale lenta, e afferma di spiegare l’essenza eterna dei fenomeni»),
il Brutto, al contrario, uccide il mito mettendo da parte il suo concetto di eternità, e si trasferisce nell’inquietudine provocata dalla tensione relativistica del tempo, senza la presunzione né «di spiegare l’essenza eterna dei fenomeni», né di edificare mondi idillicamente impossibili sulla base di fenomeni ritenuti eterni.
Ciò che è pertanto fruibile dall’Espressionismo (come dal Brutto)… è anche l’espressione del male strutturata dagli orrori umani.
Il modo di esprimersi dell’Espressionismo non è evadere dalla realtà col tenersi a distanza dai suoi eventi e dalle sue infinite correnti d’aria, ma è ciò che vuol vedere nel mondo, rispondendo criticamente a tutti i suoi paradossi.
Il Brutto va d’accordo con l’Espressionismo e l’Espressionismo con quanto nel Brutto critica la consuetudine esistenziale della società. Il Brutto è ciò che il Bello non ha: la capacità di entrare criticamente nella dimensione quotidiana, senza accettare una descrizione evasiva della realtà. Il Brutto è critica indagativa, e, in quanto tale, si oppone energicamente alla speculazione a-critica e a-sociale del Bello; è ciò che sostanzialmente registra la volgarizzazione di tutto ciò che casca nella fruizione di un mondo che ha assunto come modello la propria negatività.
Il Brutto esige da parte di se stesso consapevolezza critica nell’abitare il proprio tempo. Se il Bello parla al posticcio, assumendone tutte le sue caratteristiche, se il Bello si aggira nello “stupefacente” strumentale e nell’universo inverosimile del fittizio, vivendo nella dimensione dell’irreale, il Brutto è invece strettamente legato alla trasformazione sociale del mondo, ed è, per questo, non un corpo piombato in catalessi come quello del Bello, ma un corpo che, sollecitandosi alla disanima, assume di volta in volta su di sé la pluralità del mondo circostante, ed è di conseguenza vivo e inquieto quanto un corpo votato al vissuto.
Il Brutto è anche ciò che ingaggia una battaglia critica contro se stesso (qualora le aspettative, riguardo a ciò che si propone di essere, venissero tradite), ed è ciò che percorre dialetticamente le dinamiche del sociale.