Saggio sopra l'espressionismo

l’espressione materica della parola sonora

La ricchezza dei linguaggi e la percezione plurisensoriale

Nell’attraversare il patrimonio vitale dell’esistenza, non si può che rimanere spaesati di fronte a tanta ricchezza di linguaggi che si atomizzano come tanti scenari in cui ogni cosa, vivendo a stretto contatto con altre cose, diviene essa stessa luogo della percezione  plurisensoriale: sei visto dalle cose che vedi; sei udito dai suoni che odi; vivi e sei vissuto; viaggi tra gli atteggiamenti del mondo come essi viaggiano in te; dài vita alle cose che senti come esse la dànno a te; ti senti in tutto ciò che credi di percepire. Non è così che il linguaggio babelico ci fa sentire tutta la sua tensione linguistica come conseguenza di un vissuto che ha sistematicamente vissuto le differenze del vissuto?

La parola sonora è espressionista e potentemente espressiva.
La parola espressionista è polisensoriale, gestuale, materica, sonora

Da ciò si evince: anche la parola sonora è espressionista ed è potente nella sua materica espressività: ha la capacità di interagire con il pubblico e di coinvolgerlo in un’esperienza polisensoriale, poiché è parola teatralizzata, è azione gestuale, evidenziata dall’interazione fra proiezione visiva e tattile, fra sonorità visiva e materialità sonora.
È parola che si fa materia e immagine, è suono che modella spazialmente gesti e movimenti. E tutto ciò, inevitabilmente, ci rimanda:

Filastrocche cantilenate con accordi fonematici e rime baciate

– alle filastrocche cantilenate, di cui la struttura strofica, ritmata e cadenzata con accordi fonematici, è ottenuta tramite un congegno di rime baciate a cui si interconnettono a volte sequenze foniche modulate con onomatopee (parole predisposte a imitare suoni e rumori naturali, appartenenti alla natura in senso lato, e innaturali, combinazioni di fonemi con cui si tenta la
convergenza con rumori corrispondenti a oggetti, macchine e quant’altro);
– alle filastrocche cantilenate, ottenute con rime baciate: ogni attacco sonoro esterno-spurio viene respinto per ottenere un rimando di suoni capaci, a seconda del ritmo, di acquietare o di assopire i sensi (vedi l’effetto soporifero, provocato su un bambino a causa del ritmo ripetitivo e monotono, sviluppato dalla modulazione ossessivamente ripetitiva dei vocalizzi fonici);

Incantesimi magici delle fattucchiere

– agli incantesimi magici delle fattucchiere: abracadabra, malefizî, evocazione degli spiriti, profezie, malocchi son zeppi di rime e onomatopee dai suoni suggestivi che, accompagnati con gesti e segni declamatori e plateali,
mirano a porre in effetto parole dai suoni che affatturano e incantano;

Magnetismo dei riti tribali

– al magnetismo dei riti tribali: le parole vocalizzate in mezzo al concitamento rutilante di una babilonia di gesti, movimenti, danze, suoni, rumori, sviluppano un’energia allucinatoria capace di mandare in trance; l’effetto che spesso ne deriva è alloppiante, ipnotico, torpente, o al contrario, eccitante, infervorante.

La parola sonora è scenica e interagisce con i cinque sensi. La percezione sinestetica spazio-temporale

La parola sonora è scenica, tutte le sue azioni (sonorità, significante, immagine) interagiscono coi cinque sensi, stimolandone l’interattività corporale a tutto tondo: percepiamo della parola non solo il senso a cui il suo valore semantico ci riconduce, non solo la sonorità che la rende più espressiva, ma anche la sua materialità che da auditiva che era si fa suono gestuale, movimento tattile correlabile a una percezione sinestetica spazio-temporale e perciò tridimensionale: il linguaggio sonoro viene percepito da tutto il corpo.
La gestualità sonora della parola ci conduce, inevitabilmente, in un linguaggio che è di per sé vivo e concreto.

Poesia visuale, scrittura concreta, libro oggetto: spingere la parola oltre il suo contesto

Sia la poesia visuale, sia la scrittura concreta, sia il libro oggetto hanno in comune il desiderio (come la poesia sonora) di rendere la parola prismatica, spingendola oltre il suo contesto concettuale abitudinario. La parola
viene potenziata da una intensità cromatica, segnica e spaziale che introduce in sé non la fittizia evocazione di un’immagine, ma la dimensione oggettuale di essa: segno-oggetto che si lascia percepire in tutta la sua fisica adesione alla pagina.

Il linguaggio multiforme cambia a seconda delle tematiche

In tali opere, l’assenza di linguaggio ordinario sviluppa un linguaggio multiforme che cangia a seconda delle tematiche intraprese e dello
spazio visivo in cui si fa. Il linguaggio non viene più canalizzato nelle sue regole fisse, ma viene di volta in volta rifatto a partire da regole che la contingenza spaziale e tematica suggerisce ed impone.

Linguaggio come volume sonoro o superficie di segni ritmici

Il linguaggio può essere assunto anche come volume sonoro o superficie di segni ritmici: la volontà di reinventarlo agisce spostandolo dalle regole
che gli sono state imposte e dall’immobilità dei suoi significati, riconducibili solo ed esclusivamente a se stessi.
Parole-shock, parole-collages, parole-ready-made: l’oggetto-parola comunica con immagini, forme, colori e segni spesso ridotti a reperti archeologici de-contestualizzati e ri-contestualizzati a mo’ di citazione, anche se i reperti derivassero dall’immensa discarica del presente.

La parola che dà forma e materialità oggettiva

L’oggetto-parola, estraneo alla pratica
consuetudinaria che conferisce al linguaggio un discorso usurato e isolato dall’agglomerato caleidoscopico del reale, assume -fra tante altre- anche la valenza
di elemento di scarto, raccolto per strada o dalla spazzatura dei mass media, divenendo feticcio urbano recuperato, perché contraddica se stesso.
Il desiderio di dar corpo, peso e forma alle parole, di rappresentarle in una forma oggettuale, è sentito perché il mondo è fatto di innumerevoli forme, la concertazione delle quali, logica o a-logica, ci sottolinea l’inatteso
gioco con cui il mondo attiva, con i suoi inesauribili dettagli paesaggistici, immagini e figurazioni sempre diverse, sempre cangianti. In un mondo dominato dalla materialità di forme oggettive, il significato della parola non basta più alla parola: la parola vuol dare non più solo il significato a un’immagine o a un concetto, ma anche una forma, una materialità oggettiva.

I poeti sillabici del Barocco russo e i testi visivo-simbolici

Si pensi ai poeti sillabici del Barocco russo (Sil’vestr Medvedev, Karion Istomin, Simeon Polockij) che

Stefano Garzonio, Poesia Sillabica in Poesia straniera russa, La Biblioteca di Repubblica, Milano 2004, p.121

… fortemente influenzati dal Barocco internazionale (…), coltivano generi poetici di natura emblematica e araldica, costruiscono testi visivo-simbolici, compongono versi collegati all’esecuzione musicale (…), per i quali la resa grafica è, nella sua unicità, particolarmente marcata in prospettiva estetica.

Alla parola è data la facoltà di dar forma visiva al tema per cui è chiamata a significare.

Il Rifmologion di Simeon Polockij è poesia visiva, cfr. Stefano Garzonio, Poesia Sillabica… p.121

La «poesia a forma di cuore» estrapolata dal Rifmologion di Simeon Polockij «dal ciclo panegeristico L’aquila russa, composta per la proclamazione dello zarevic a erede del trono (1667)», è già poesia visiva.
La poesia visiva ci dà la percezione di una realtà concreta: essa penetra nella nostra percezione non più sostenuta soltanto dall’astrazione evocativa del suo significato, ma anche dalla figurazione oggettiva che dà al suo significato una forma concreta. Così facendo, la poesia è destinata non solo a esser letta ma anche a esser recepita, visivamente, in maniera sinestetica, esattamente come avviene nel recepire il mondo:

Stefano Garzonio, Poesia Sillabica… p.121

Il mondo è un libro e il libro è un mondo, e la bellezza del mondo deve riflettersi esteticamente nell’esecuzione grafica e sonora del libro poetico.

Ruzante e il vulgo sul palcoscenico

Portare il mondo in un libro significava già, per il padovano Angelo Beolco detto Ruzante, portare il mondo sul palcoscenico. E ciò poteva esser fatto nell’estorcere parole dal linguaggio babelico della strada: il linguaggio preso per strada, come raccattato da terra, è già di per sé visivo poiché le parole, dall’ampiezza sonora e non appiattita e standardizzata dal linguaggio letterario, restituiscono concretamente e figurativamente non solo la sonorità della strada, ma anche la visione collettiva della sua realtà.

La Moscheta (1528)

Ne la Moscheta, scritta nel 1528, non poteva quindi che irrompere il linguaggio appunto moscheto: linguaggio mescidato fatto di parole chiappate dal politàn romanesco, scroccate al parlato spagnaruolo, strappate al linguaggio libresco gramego, cioè grammatico, catturate dalla lengua fiorentinesca. Col moscheto, il ritratto umoristico e grottesco della grammaticheria libresca è tracciato con segni rudi e villani, goffi e materialoni, villaneschi e schietti, per essere calzati degnamente da personaggi del basso vulgo, zotici e sciatti.

Linguaggio di strada, sonorità aspre e rozze, forme proverbiali, dialettismi

L’indecoroso linguaggio di strada, fatto di parole dalle sonorità aspre e rozze, di forme proverbiali asprosonanti, di dialettismi mescidati con la lingua spagnuola e con un italiano ampolloso, pieno di tronfia magniloquenza, lo troviamo abbondantemente -espresso schiettamente- in quella forma teatrale che, per esser messa in scena, richiedeva improvvisazione, o tutt’al più un canovaccio incompleto, il quale consentiva di volta in volta, nel recitare a braccio, agli attori di aggiungere ex tempore nuove battute e nuove parole: la Commedia dell’Arte.

La Commedia dell’Arte: linguaggio insolente e osceno

Ed è ancora il linguaggio di strada che ne la Commedia dell’Arte si fa avanti: l’indiscreto, l’avventato, lo sfacciato, lo spassoso, lo sboccato, l’osceno, l’insolente contraddicono la supremazia di quel linguaggio letterato, che viene magnificato e sublimato con un linguaggio fittizio e arcaicheggiante.

Contaminazione e corruttibilità del linguaggio impuro e babelico e della vita

Il linguaggio è contaminato (come già quello maccheronico di Teofilo Folengo) perché il mondo, e quindi la vita sociale dell’uomo, non è imputrescibile e incorruttibile, ma putrescibile e corruttibile. E un linguaggio che non si presenti impuro, babelico anche nei suoi aspetti da basso vulgo, lordato dalla quotidianità, è del tutto inadatto a dare, con la sua sozza sonorità, un ritratto fedele della pulsione vitale del mondo.

Ricerca di un linguaggio per visualizzare
l’espressività del reale

Sarà proprio questo linguaggio, imbastardito e meticciato, eterogeneo e artificiosamente ibridato, a far sentire, per la sua aderenza al reale, il bisogno di ottenere sempre più un linguaggio capace addirittura di visualizzare, concretamente, l’espressività del reale.

Carlo Maria Maggi e il linguaggio ibrido

Non a caso, Dante Isella enuncia in Prefazione a I consigli del Meneghino del milanese Carlo Maria Maggi, per la particolarità della sua mistione linguistica, portata in scena per meglio aderire a un contesto reale:

Dante Isella, Prefazione, in Carlo Maria Maggi, I consigli di Meneghino. Einaudi, Torino 1965, p.9

L’ibridismo del suo linguaggio, nella cui pretenziosa goffaggine si contrastano modi dell’italiano più letterariamente ricercato e del dialetto più greve, diventa, per la straordinaria inventività dello scrittore, libero in queste parti di applicarsi alla miglior resa stilistica della sua osservazione della realtà, l’essenza stessa del personaggio. Ignoranza e prosopopeia, miseria e grandigia si commentano a vicenda in uno spiritoso, mordace contro canto.

Quando la scrittura scende dal suo mummificato piedistallo classicista, per farci annusare l’odore del reale fatto di forticce graveolenze e di deliziosi afrori, non può che animarsi di parole prese dalla strada e non dai libri.

Le commedie di Pietro Aretino: effetto di una discussione in un goliardico festino

Le commedie di Pietro Aretino rientrano a pieno titolo, per il loro linguaggio mescidato, in una sonorità concordante con quella che ne potrebbe derivare dall’effetto di una chiassosa discussione fra convitati a un goliardico festino.

Pietro Aretino: parole prese dal repertorio linguistico del vulgo

Per Aretino è importante portare sulla pagina il vissuto, la parola e l’ambiente da cui deriva, il linguaggio di un mondo radicalmente prelevato da un mondo dalle molte facce, quello frazionato dall’inferno dell’esistenza, disfatto dal repertorio linguistico del vulgo.

Il vissuto sulla pagina, contro grammaticaggine professorale dei cruscanti e formalismo petrarchesco e bembesco

Il suo linguaggio infatti appare come una combinazione di molteplici parlate, spiegate tutte d’un fiato per restare aderente alla chiassosa disarmonia del parlato della plebaglia, per controbattere la grammaticaggine professorale dei cruscanti, il formalismo petrarchesco e bembesco, la tediosità della dottoraggine. A entrare nella pagina è il gurgugliare pieno della piazza, il vociferare confuso del postribolo, la chiassata nutrita di baiate dell’osteria, il leccato pettegoleggiare delle cortigiane, il parlato gergale delle baldracche che si tagliano i panni addosso, il cinguettare lezioso e affettato della nobiltà.

Il linguaggio spinto ai limiti

Pietro Aretino spinge il linguaggio ai limiti, l’ambiente quotidiano entra con tutta la sua straordinaria eloquenza, tant’è che le parole non sono chiamate a dire ma a fare ciò che dicono.

La parola afferma la sua esistenza reale, è cosa fatta di cose

La parola non è più solo ciò con cui si ottiene un discorso, ma è l’affermazione della sua esistenza nel reale, perciò è concreta quanto tutto ciò che partecipa alla realizzazione del reale, è cosa, è parola di una cosa, è parola-cosa fatta di cose.
Nella scrittura dell’Aretino il reale è tangibile: le parole che la costituiscono non sono parole virtuali che rimandano un possibile significato di sé, ma materiale vivo, prelevato come oggetto o cosa dal reale, a costruire un linguaggio che si muove sulla pagina come un bric-à-brac del vissuto di ogni giorno, scaraventato nel linguaggio letterario per demolirlo, per denigrarlo.
In Aretino la parola non è metaforicamente decorativa, ma è un pezzo del mondo che porta in sé le sue ferite: per questo il suo movimento è plastico, fa ciò che dice, si muove sulla pagina senza peli sulla lingua:

Pietro Aretino, Primo libro (sesto) delle lettere, appresso Matteo il Maestro, Parigi 1609, p.252

La Nanà è una cicala, e dice ciò che le viene alla bocca…

Francesco De Sanctis, Storia della letteratura italiana (vol. II) Morano… p.136

E qui ben s’incastra l’incalzante affermazione di De Sanctis: «delle parole non si dà un pensiero al mondo, le accoglie tutte, onde che vengano e quali che siano».
La forza plastica del linguaggio dell’Aretino è caratterizzata da un discorso che si riversa sulla pagina come il movimento di una frana che getti in un sol colpo tanti detriti.

Il linguaggio gestuale

La pagina sembra muoversi fra discorsi dai toni virulenti e impetuosi; le parole, crude e nude, visualizzano e materializzano la dimensione fisica di parlati che si stratificano in un’energia gestuale, che di fatto sulla pagina prende forma. Ed ecco il linguaggio disarticolarsi in linguaggio gestuale. La quale gestualità è tutta nell’oggettività della parola, che fa ciò che farebbe nel reale:

Al nobilissimo Lionardo Parpaglioni Lucchese Messer Francesco Coccio, in Pietro Aretino, Dialoghi (vol. II). ES, Milano 1998, p.267

… chi considera le femine introdutte a parlare, vedrà nei vocaboli che elle usano, e ne lo scompigliare dei ragionamenti, il decoro del decoro: perché è tanta la felicità che a l’operare suo ha dato la natura, che non solo il replicar d’una materia, il proporla a non seguirla in tutto, che egli per correre e non rivedere la composizione ci ha fatto, ma gli è venuto a proposito fino a la trascuratezza de la impressione, la quale ha lacerate le sentenze col troncare via le parole intere e con interponerle al rovescio, discordando per più crudeltà il singulare dal plurale: non per altro che per esser proprio de le donne il cominciare e non finire, il dir due volte una ciancia, il ritornare con la favella indietro e il mescolare insieme la unione dei numeri.

La poetica di Aretino in linea con i futuristi

Quanto questa poetica, enunciata dall’Aretino, sia in linea col gusto modernista dei futuristi, ce lo rivela il confronto con le teorie marinettiane che avanzano da una concezione dell’arte che mira a considerare quest’ultima come sistema e congegno compartecipante della realtà in divenire, tramite

Filippo Tommaso Marinetti, Teoria e invenzione futurista. Mondadori, Milano 1983, p.76

un lirismo rapidissimo, brutale e immediato, un lirismo che a tutti i nostri predecessori deve apparire come antipoetico, un lirismo telegrafico, che non abbia assolutamente alcun sapore di libro, e, il più possibile, sapore di vita.

Lo stile dimesso e rapidissimo entra soprattutto nella ritrattistica.

«la trascuratezza de la impressione» nella ritrattistica

Scipione Pulzone, Federico Zuccari, Sofonisba Anguissola, Annibale Carracci (solo per citarne alcuni) sperimenteranno nel ritratto ciò che per Aretino era «la trascuratezza de la impressione» per poter, con un proprio linguaggio pittorico, aderire il più possibile allo stato del reale.

Troncare le parole intere = ritrarre «defetti, o naturali o accidentali».

Se per Aretino ritrarre al vero con le parole una discussione fra donne concitate e conturbate significava «troncar via le parole intere», poiché è «principio de le donne il cominciare e non finire», con la ritrattistica, tramite il linguaggio pittorico e plastico, si avrà cura, per una maggiore adesione al reale, di non tralasciare i «defetti, o naturali o accidentali» di cui il reale è fatto. Il cardinale Paleotti asseriva, nel suo Discorso intorno alle immagini:

Gabriele Paleotti,
Discorso intorno alle immagini sacre e profane in Trattati d’arte del Cinquecento fra Manierismo e  ontroriforma, (vol. II), Laterza, Bari 1961, p.231

… si dovria curare ancora che la faccia o altra parte del corpo non fosse fatta o più grave o punto alterata da quella che la natura in quella età gli ha conceduto, anzi, se vi fossero anco defetti, o naturali o accidentali, che molto la deformassero, né queste s’avriano da tralasciare, se non quando con l’arte si potessero realmente dissimulare.

La precettistica ampollosa dell’enfasi oratoria sarà (sia dal plurilinguismo aretiniano che dal linguaggio visivo di fine Cinquecento e soprattutto del Barocco) sostituita da uno stile speditivo, scattante e presentaneo, quasi a voler cogliere al più presto l’attimo, e non a immortalarlo in un arresto statico di una cessazione di corso tipico d’una precettistica simbolica.

Giovanni Pietro Bellori, Vite dei pittori, scultori ed architetti moderni (Tomo I), presso Niccolò Capurro, Pisa 1821, p.226

La natura del reale, che entra nel linguaggio letterario con uno stile che mira espressivamente ad abbozzare un discorso colto al momento, perché dica anche tutto «ciò che le viene a la bocca» (Aretino), è la stessa che vediamo entrare in Rubens, solo per citarne uno, attraverso figure

eseguite in un corso di pennello ed inspirate in un fiato.

Aretino e la negazione del decoro accademico petrarchista

È evidente che in Aretino vive una scrittura che si impone, nel chiuso panorama del petrarchismo di quell’epoca, come negazione del decoro e della monomania accademica cruscante. La sua scrittura si strazia in un linguaggio basso, che rasenta il fango e la polvere delle piazze e dei puttanai.
Ma non solo.

Tonalità comuni con l’Espressionismo

Le sue parole, incompatibili col movimento statico del bello stile, neutralizzano quest’ultimo col dar forza a uno spazio linguistico deturpato da parole che pulsano con tonalità cromatiche che molto hanno in comune con quelle esplicitate dall’Espressionismo: ogni parola è portata a delinearsi in dialoghi aprospettici, deformati da un flusso linguistico paròdico senza cornice, come ripescato al vivo non solo dalle strade e dai vicoli, ma anche dall’atmosfera opaca e miseramente goffa delle bettole. E strade, piazze e caffè non furono i luoghi privilegiati dall’Espressionismo?
Aretino mette in bocca ai suoi personaggi dialoganti parole pertinenti al loro ceto sociale: una prostituta parla con il linguaggio che le si addice, incendiato di parole ripescate dal loro avvilimento quotidiano. Tutto ciò ci rimanda persino alle opere pittoriche espressioniste:

Potsdamer Platz a Berlino di Kirchner: parole che si addicono alle immagini

in Potsdamer Platz a Berlino di Kirchner, le prostitute son state ritratte nel loro tipico abbigliamento dell’epoca, tant’è che

Norbert Wolf, Espressionismo. Taschen, Colonia 2004, p.56

il fatto che una delle donne indossi una veletta a lutto, che le copre il volto con una cortina nera, rivela che la composizione è stata terminata dopo il 1° agosto 1914, data in cui scoppiò la prima guerra mondiale. Da allora, infatti, le prostitute furono obbligate a vestirsi come fossero le vedove dei soldati, trasformandosi in singolari cortigiane patriottiche.

Le parole adottate dall’Aretino per ogni singolo personaggio dei suoi Dialoghi, non sono trasferibili da un personaggio all’altro.

I linguaggi cuciti addosso ai personaggi

A ogni personaggio gli è stato cucito indosso un linguaggio che lo caratterizza esattamente per ciò che socialmente rappresenta. E tale realismo espressivo… non ve lo riscontriamo anche nell’Espressionismo? Una prostituta ritratta da un espressionista non è scambiabile genericamente con un’altra figura femminile, e non è neppure pensabile che essa viva nell’opera in maniera atipica e incongrua rispetto al periodo storico in cui l’opera è stata concepita. Inoltre (e ciò aggiunge un altro elemento tipicamente espressionista alla scrittura di Aretino) le parole si insediano nei Dialoghi come bagliori opachi espressamente prelevati da una torbida quotidianità, e oscillano, come i colori espressionisti, fra il torbido e l’acceso, fra il deformato e il deformante, fra l’inquietante e l’assopito: quasi a formare un discorso enunciato come tante figure e ritratti espressionisti che si spengono nel sopravvissuto o che si divincolano tra le macerie di un linguaggio sporco e consacrato alle brume d’una miseria esistenziale.

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