Saggio sopra l'espressionismo

Divina Commedia = cattedrale gotica

La Commedia: immagini, descrizioni, colori e luci di una cattedrale gotica

Tutta la struttura della Divina Commedia ci suggerisce quella di una cattedrale gotica. Il suo preziosismo di immagini, descrizioni e parole astruse corrisponde alla ricchezza di varianti formali che reggono, ornano, istoriano, merlettano, costellano di colori e di luci una cattedrale gotica. Tanti sono i neologismi di Dante in essa coniati, e tante sono le sculture che popolano la cattedrale di Reims: 2300.

Come il Gotico d’Oltralpe, nessun freno alla verticalità ascensionale

Per la sua ricchezza stilistica e linguistica, la Divina Commedia ci ricorda il Gotico d’Oltralpe, e non quello italiano. Non v’è, nella Divina Commedia, come del resto in tutto il Gotico d’Oltralpe, nessun elemento -strutturale e linguistico- che faccia riferimento alla misura sobria e castigata che imponeva per la propria virtuosità spirituale Bernardo di Chiaravalle; nessun accenno quindi alla austerità e al disabbellimento cirsterciense, senz’altro riferibile anche a ciò che nel XII secolo il filosofo Abelardo scrive nelle Lettere ad Eloisa:

Abelardo, Lettere ad Eloisa, VIII

Che gli ornamenti della chiesa siano sufficienti; non abbiano nulla di superfluo; siano convenienti, non preziosi. Niente oro né argento, tranne che per un calice, o per più, se occorre. Niente seta, tranne che per le stole e i manipoli. Nessuna immagine scolpita: una croce di legno sull’altare. Un dipinto con l’immagine del Salvatore non è proibito, ma gli altari non devono avere nessun’altra immagine. Due campane bastano al monastero;

nessun riferimento alla continuità paleocristiana e romanica; nessun freno da opporre alla vertiginosa verticalità ascensionale, come l’impiego dell’arco romanico a tutto sesto e l’alterno susseguirsi di fasce scure e chiare che sia nel Duomo di Siena sia in quello di Orvieto attenuano l’effetto dell’ascesa ritmicamente modulata dalla verticalizzazione tipica del Gotico d’Oltralpe.

Membrature come ossa per sostenere un congegno di forze flessibile

Tutta la funzionalità gotica è affidata a un ossame (di membrature di sostegno, contrafforti, archi rampanti e costoloni) che sostiene agevolmente il sostrato murario. La molteplicità delle membrature maestre, divisorie, di appoggio, di sostegno formano uno scheletro in grado di sostenere tutta la struttura con un congegno di forze, agevole, distributivo, spedito: docile e flessibile ad adattarsi a ogni sorta di volume e superficie.

Struttura architettonica ridotta all’osso, spazio asservito alla luce e alle oscillazioni luminose

Tutta la struttura architettonica è ridotta all’osso, perché nel reggersi senza troppe riempiture murarie vi resti più spazio per gli ampi finestroni e rosoni a vetrate istoriate: vi sia così l’asservimento dello spazio allo sfavillío di luminosità cromatiche, ai guizzi di effetti di luci, alle vibrazioni chiaroscurali, fra giochi di penombre e mezzombre, fra mulinelli di oscillazioni luminose.

L’innervatura non lineare della Commedia

Similmente abbiamo in Dante una struttura poematica che si regge su una innervatura non lineare: da essa prendono vita infinite diramazioni, ognuna delle quali corrisponde a:

Multiformi linee di forza discendenti e ascendenti nella verticalità

racconti ricchi di accidenti linguistici, di aneddoti, di episodi, di memorie storiche mitiche e autobiografiche, che si succedono e si sovrappongono in un assetto di linee di forza che discendono e ascendono -arricchite da segmenti dialogici- ora tortuosamente, ora perpendicolarmente, ora trasversalmente, ora  diagonalmente, ecc. Tutte intersecazioni e divergenze che convergono con lo stile gotico: archi a svariati e compositi profili, pilastri a fascio di molte specie, pinnacoli e guglie multiformi, archi a sesto acuto, volte a crociera, peducci, archi rampanti, ornamenti milleformi caratterizzano quell’impiego di molteplici forze che si espandono nello spazio verticalmente, in movimenti antitetici alla orizzontalità greve dello stile romanico.

Costoloni come chiodi che ripercorrono il dolore cristico

Il Gotico si esprime anche per mezzo di una forma fatta emergere da un percorso verso il riconoscimento del dolore cristico. Costoloni che si spingono verticalmente nelle volte a crociere (quasi a volerle bucare) sembrano chiodi che penetrano dolorosamente il complesso ritmico di quella agglomerazione di linee ascendenti e discendenti, convergenti e divergenti, miste.

L’assimilazione del devoto in rapporto diretto con il corpo cristico

Se da una parte la rappresentazione devozionale dei crocifissi -sia nella plastica sia nella pittura- veniva concepita autonomamente dalla narrazione architettonica, affinché il devoto si trovasse individualmente annientato nel rapporto diretto con l’immagine sofferente, dall’altra il concatenamento ossessivo delle forme architettoniche, nell’accentuare la struttura aleatoria delle linee, si riversa invece sul devoto quasi a desiderare che venga assimilato completamente da tutta la massa architettonica, impegnandolo a mantenere un contatto sensorio con tutto ciò che avviene nell’àlveo di quei movimenti contrapposti, volutamente agglomerati, inghiottiti dal pieno.
L’architettura gotica evoca, nella trattazione formale di tutti i suoi elementi, il duplice volto del corpo cristico:
l’elemento formale-strutturale, colmato dalla dimensione della transustanziazione di uno spazio, è come rinato (con la resurrezione di Cristo), e riconcepito nell’immediatezza dei sensi che abbiano vissuto l’ascesa e l’elevazione, ed è come violato dal dolore effuso dal corpo sofferente del Cristo in croce.

L’architettura gotica partecipa alla beatitudine estatica e alla sofferenza della crocifissione

Cosicché l’architettura gotica, nel postulare la misura incontrollata del dolore, pare influenzata da una massa plastica che partecipi sia alla beatitudine estatica (extra-mondana), sia all’inquietudine di un corpo che si torca sotto il tormento della crocifissione.

La ricerca di una forma diversa partendo dal dolore

Tutti i sensi devono riempirsi contemporaneamente di quello strazio e di quella beatitudine extra-mondana. L’architettura gotica cerca dunque nel dolore la formulazione di una forma diversa da se stessa. Per fare ciò deve sì rompere la secolarizzazione di forme acquisite, ma deve anche, per avviarsi alla creazione di una nuova forma, ricostruire, riconnettere la rottura con il passato all’idea e all’operatività di ri-fare, ri-costruire.
Occorre, dunque, come per l’architettura gotica,

Natalino Sapegno, Introduzione a La Divina Commedia. Inferno. Biblioteca Treccani, Milano 2005, pp.XXI-XIX

considerare la Commedia come un’opera in fieri, anziché come un blocco unitario precostituito di concetti e di forme… (…) con il suo contenuto dottrinale e la molteplicità dei significati letterari e allegorici e con il suo “modus tractandi”, che è propriamente poetico, in quanto si risolve in un’ampia e ricca invenzione sensibile, narrativa e drammatica…

con la sua «straordinaria plasticità di invenzioni figurative e una prodigiosa fertilità di risoluzioni stilistiche e verbali…» e con

Natalino Sapegno, Dante Alighieri, in La
letteratura italiana. Dal Duecento al Trecento (vol.2). Corriere della Sera, Milano 2005, pp.261, 260

il contenuto della fantasia dantesca, che, spaziando in un orizzonte di ampiezza fino allora intentata, investe tutti gli aspetti della realtà, dai più umili ai più alti, dai più semplici ai più complessi, e comporta pertanto quell’infinita gamma di intonazioni, che stupiva già i lettori trecenteschi dal comico all’elegiaco e al tragico, dalla satira alla didascalica e all’epica (“omnis pars poetice”, secondo la formula penetrante di Benvenuto da Imola); deriva infatti, in ogni suo elemento e fin nei minimi particolari, la sua prodigiosa vitalità, quell’accento di verità, non episodica, ma totale e sempre intimamente articolata e polisensa…

Il Gotico (così pure l’Inferno) è un’arte dall’immaginazione inarrestabile, ingorda.

Sacro e profano, diabolico e divino convivono

Il sacro e il profano convivono: ora rappresentati nell’annichilamento dell’umanità (e l’immaginazione si fa malvagia e ìnfera), ora rappresentati in un giardino paradisiaco, in cui ogni elemento figurativo pare dissolversi asceticamente in mezzo a una sorta di giardino delle delizie o delle meraviglie.

L’apoteosi del troppo

Il Gotico è l’apoteosi del troppo, il suo spettacolo ultraterreno ingoia di tutto: mostri venuti fuori dalla potenzialità degli opposti (pestilenza e grottesca sopravvivenza, vita e morte); giardini delle delizie, la cui vegetazione antropomorfizzata e l’uomo che nasce da ogni capriccio innaturale paiono esser stati modellati sia dal diabolico sia dal divino.

Il troppo è nauseante e danneggia il Bello

Il troppo è nauseante: i suoi effetti formali sopraffanno la materia di una visione serena, strarípa dalla possanza bruta, aggredisce lo spazio, reca danno alla manifestazione del Bello e del sereno, perturba e inquieta.
Il troppo s’immerge nel demoniaco del basso corpo: il basso corpo ci dà la forma dell’ars moriendi, il piacere in prossimità del tormento, l’inferno caduto
nell’informità di un bestiario demoniaco.

Victor Hugo, Sul Grottesco… p.135

Afferma Hugo:

Il troppo non è comodo; l’abitazione dell’abisso è disagevole; l’infinito è poco abitabile.

Dante costruttore gotico

Da tutto ciò si evince che Dante fu un costruttore gotico.

John Ruskin, La natura del Gotico… p.57

Parafrasando John Ruskin, affermo che tutti gli «elementi» linguistici e stilistici che concorrono a fare della Divina Commedia un’architettura abnorme nelle sue irregolarità, corrispondono all’espressione di certe modificazioni che si determinano in tutte le forme della vita, per cui se «fantasia, amore per la varietà e per la ricchezza» nell’architettura gotica «si materializzano in archi acuti, soffitti a volta, ecc.», nella Divina Commedia si avverte non solo la presenza di tutta questa varietà formale e stilistica ma anche

La pluriformità linguistica e il non-finito

l’affermazione di una pluriformità linguistica in relazione a una struttura geometrica indefinibile proprio come quella su cui il processo di mutamento dell’architettura gotica si frantuma nell’effetto di un movimento quale si attua nella forma del non-finito.

Architettura gotica è espressionista

Nell’architettura gotica (così pure nella Divina Commedia) «svanisce», per dirla con Paul Scheerbart, «la rilassata beatitudine». Ci ritroviamo in un’architettura espressionista, in cui tutti gli elementi, come tanti astri, girano ripetutamente, rigermogliano a ogni movimento, rivelando forme quali si manifestano nel conturbamento e rimescolamento di un cosmo sfigurato dalle sue perenni commutazioni.

Nell’infinitezza sempre nuova si prova una tumultuosa beatitudine

E tra queste commutazioni e novazioni, in mezzo a questa affermazione dell’infinitezza, in questo spazio attivato da una continua ebollizione di forme che cominciano a muoversi sempre da un nuovo cominciamento, tra queste linee sempre in via di negarsi una sola direzione, in questo fermento di ordini che si disperdono, che scoppiano in sobbollimenti e scombugli, non possiamo che sentirci afferrati, come Lesa (il protagonista del romanzo di Paul Scheerbart: Lesabéndio) da «una grande furia»:

Paul Scheerbart, Lesabéndio… p.140

Lesa notò che tutti volevano indiscretamente penetrare sempre più a fondo in grandi misteri per lui ancora incomprensibili. Ma venne trascinato dall’impetuoso spingersi avanti degli astri. E lo afferrò una grande furia.
-Voglio andare ancora oltre, -esclamò pensando tra sé,- anche se non so dove questo porti. Ma un’ostinazione percorre i pianeti. Non vogliono più rimanere ancorati a quanto è gretto; vogliono solo quel che è grande, potente. E ciò non reca in sé una pigra tranquillità. Ecco che svanisce la rilassata beatitudine.

Sussulto cosmico e inebriante tumulto di luce

E si diventa vulcano, sussulto cosmico, tempesta mugghiante; e inebriante tumulto di luce. Che cosa importa che io viva o non viva. Purché l’astro viva con me, in me, una vita cosmica. È difficile. Ma attraverso il difficile si arriva alle beatitudini più grandi. Le fiacche pause devono essere superate. Tutto deve ruotare più velocemente, affinché si comprenda di più. Di nuovo giunge l’ebbrezza generata dalla rotazione eterna: le sfere e le ruote che girano soffocano quanto è gretto. Avanti! Non temere il dolore! Non temere la morte! Le sfere! L’infinito! Le ruote! I cerchi! I cerchi! E i pensieri di Lesa si confusero di nuovo ed egli ormai provava solo una tumultuosa beatitudine.

Alla vista di colui che si trova in una cattedrale gotica, rapito da quel sussulto cosmico… e inebriante tumulto di luce, tutto si riduce all’inconsistenza del non-finito, tutto prende consistenza dal vanificarsi d’ogni cosa finita, tutto in quel tutto non è mai uguale a se stesso, l’uno si diversifica dall’altro, formando una molteplicità di elementi che solo in apparenza sembrano privi di reciproca relazione.

Le figurazioni raccapriccianti e ossessive
della morte e le bestemmie arabescate contro la simmetria

Il XIII secolo è il teatro delle figurazioni raccapriccianti; della rottura della sagomatura irrigidita nell’essenzialità dell’arte romanica; dei fondali fantasiosi, allucinanti, sragionevoli nella rappresentazione ossessiva del demoniaco, deliranti nel ritrarre la materia marciosa del vizio umano, sconsiderati nel dare alla trattazione dell’Eden un primitivismo túrgido, smagliante di espressioni peccatrici (il tutto rischiarato da una sensualità piena di capricci orientaleggianti); delle figure grottesche, ritratte come da battute di spirito illogiche; delle aspre, ironiche, smorfiose, danzanti, sarcastiche, ossessive rappresentazioni della morte; delle inquietanti esclamazioni di bestemmie arabescate, articolate contro la simmetria, l’equilibrio, la fissità
centrípeta di un disegno verbale deificato.

Pitirim Sorokin, La dinamica sociale e culturale. U.T.E.T., Torino 1975, p.248

I suoi temi si secolarizzano sempre più e riguardano vita secolare, il comune e il quotidiano; sempre più frequentemente vi sono temi “carnali”. Il drappeggio del XIII secolo era architettonico; ora diventa complicato, pieghettato, pittoresco, persino burlesco; imita nei minuti particolari il drappeggio reale, e perde sempre più in unità e sobrietà d’impianto. Nella pittura e nella scultura irrequietezza, dinamicità, passionalità, emozione e in particolare senso patetico e del macabro, combinati colla voluttuosità, pervadono le figure, le scene, le espressioni, gli atteggiamenti, le vesti.

Gli dèi come mortali e i cadaveri in tutta la loro realtà

Se prima i mortali erano idealizzati come dèi, ora anche gli dèi sono rappresentati alla stregua di mortali. Fanno eccezione pochi potenti che sono rappresentati come dèi per adulazione. Aumentano l’individualismo, l’epicureismo, la voluttuosità e la sensualità degli artisti. (…) La fermezza nella fede è andata perduta e l’uomo rimane abbandonato a se stesso: emozione, passioni, dolore, pessimismo e sofferenza, insieme con la ricerca di una salvezza nel piacere, afferrano il mondo cristiano. Va in frantumi un mondo che un tempo sembrava incrollabile, mentre un nuovo mondo ancora non è nato: come non comprendere il dolore e la disperazione? Non è da meravigliarsi che proprio in quest’epoca, temi come la morte in tutto il suo orrore, la danza macabra, i cadaveri (anche del Cristo) in tutta la loro realtà, divengano per così dire epidemici.

fabio d'ambrosio editore
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