Saggio sopra l'espressionismo

colori apostrofati di scherno

Percorrendo l’arte espressionista ci troviamo sempre di fronte corpi scorbacchiati da colori apostrofati di scherno, in cui vi si vede il magagnato, l’imbrattato, l’ignudo, lo spettacolo carnevalesco di un mondo che s’accovaccia nella mòrchia.

Corpi imbrattati e colori ansiosi di bruciare
Lovis Corinth, Il Cristo rosso, 1922, Monaco di Baviera, Pinakothek der Moderne

L’Espressionismo non ha nulla da mostrarti se non un mondo fornito di uomini dalle facce e dai corpi imbrattati di colori ansiosi di bruciare. Colori al limite dell’esistenza, come visti da sopravvissuti a uno sfacelo. Il Cristo rosso di Lovis Corinth ne è un esempio eclatante. La figura del Cristo ci sciorina un corpo travestito da carne straziata, divorata da colori che la divorano. Il corpo non ha più su di sé una pelle che possa ancora credersi pelle; pelle e carne appaiono come frammischiate da una striglia di ferro. Quel corpo… è stato sgraffiato, sbucciato, sfregiato: gli hanno buttato addosso escoriazioni dagli effetti sanguinolenti, è un corpo disfatto da colori disfatti.

Il Cristo rosso è divorato da colori che lo divorano, corpo disfatto da colori disfatti, deprivato della carne e della pelle

Il corpo ha diseredato la carne (infatti il corpo non è in carne, ma impoverito, deprivato della carne). Il colore ha gettato la figura del Cristo nel sangue, tutto sanguina, persino il sole piagne sangue, spara con asprezza una luce sanguigna, di rosso carico e sfacciato. Il corpo del Cristo è stato guastato da un colore che l’ha frustato. Il corpo rimane gettato sul colore, e il colore lo ha posto in una materia corrosa.

Opera dichiaratamente espressionista pur non essendo stato Corinth integralmente espressionista

Il Cristo rosso fu realizzato nel 1922, ed è un’opera dichiaratamente espressionista. Pur non essendo stato Corinth un autore integralmente espressionista, Il Cristo rosso presenta deformazioni tipiche dell’Espressionismo, anzi ne accentua la drammaticità e lo sfacelo formale a tal punto che l’opera risulterà indigesta anche a critici che s’erano già arrotato il palato visivo sull’Espressionismo. Corinth dedicò per anni la propria ricerca pittorica all’acquisizione delle tonalità impressioniste.

Corinth si dedica alla ricerca di tonalità impressioniste e approda a opere selvagge e crude. Perché? Per l’ictus (1911) e i turbamenti depressivi?

Come mai dunque svilupperà un ciclo di opere espressioniste ancor più selvagge e crude dell’Espressionismo stesso? Egli fu affetto da ictus nel 1911. Da quel momento in poi il suo equilibrio psicologico sarà intaccato, periodicamente, da irruenti turbamenti depressivi. Non sarà forse stato a causa di questa sofferenza psicologica che Corinth darà una svolta drastica alla sua pittura, impregnandola di drammaticissimo Espressionismo?

Comunque stiano le cose resta evidente il fatto che in un’opera espressionista è sempre un certo grado di sofferenza esistenziale a conferirle una particolare drammaticità. Non si acquisterebbe con la sofferenza una maggiore sensibilità sensistica? Per chi soffre, la propria sofferenza è portata ad abitare la sofferenza degli altri.

La sofferenza sviluppa sensibilità psicologica che porta ad alleviare o infliggere sofferenza: gli espressionisti tendono a rendere la propria sofferenza universale, aperti alla sofferenza di tutto e di tutti

La sofferenza allevia il proprio dolore quando diviene un occhio attento alla sofferenza degli altri. La sofferenza porta a una straordinaria intensità psicologica, atta a tramutarsi o nel desiderio di alleviare la propria sofferenza alleviandola agli altri, o nell’infliggerla. Nel caso degli espressionisti, ciò che irresistibilmente li attira è nel rendere la propria sofferenza universale. L’espressionista non si chiude nell’orizzonte della propria sofferenza, ma si apre alla sofferenza di tutto e di tutti. Se è la guerra a farlo soffrire… allora le sue opere assorbono e proiettano un linguaggio estetico che sprizzi un odore di morte e di carneficina, affinché si provi disgusto per un mondo stupidamente consacrato al delirio dell’autodistruzione.

Il paesaggio urla deturpato

Le opere degli espressionisti soffrono anche quando ritraggono, con entusiasti effetti cromatici, le meraviglie di un paesaggio raccolto dal suo stato selvaggio. Il paesaggio ci sembra sempre che urli perché appare ridotto a brandelli, con colori che sembrano esser stati ripescati da acidi corrosivi. Il paesaggio (sia esso naturale o artificial-urbanistico) soffre deformazioni che, assorbite da effetti cromatici crudelmente maltrattati, ci restituiscono una visione paesaggistica deturpata dalla perdita del proprio volto. Chi soffre o ha sofferto è sempre consapevole che al mondo v’è sofferenza. E sino a quando la sofferenza risulterà dal mondo non bandita, l’espressionista continuerà a ritrarla, continuerà a gettarcela in faccia, rendendo corpi e cose raccapriccianti.

Non è ancora giunto il momento delle storie paradisiache perché il mondo è in agonia, infelice, oberato dal male

Insomma, non è per egli ancora giunto il giorno in cui dedicarsi alla rappresentazione di un’estasi pittorica che narri di storie paradisiache, poiché il mondo non è un paradiso ma un luogo in cui la propria atmosfera è sempre in agonia, colma di immagini infelici, trafugate da un’esistenza infilzata dalla forza oscura del male. Finché il mondo continuerà a straziarsi sotto la forza del suo stesso male, l’espressionista procederà nel bombardarci con opere che lancino colori come granate incendiarie, come shrapnel dirompenti.

Il corpo sofferente si vede dallo sfigurato, dall’anomalia, dal difforme

Un corpo sofferente lo si vede dal fatto che ha disertato la propria forma anatomica. Subisce un deturpamento che non si esprime per mezzo di una elocuzione comunicativa stringata, ma debordante. La sua eloquenza carnale pròspera nello sfigurato, nell’anomalia, nel difforme. Pronunzia a tutto volume una carne sofferta, schiusa al corruttibile e a un affluente dell’ulcerazione. Tale eloquenza formale è data perché ci descriva un virus diffusosi in ogni pennellata di colore.

Ogni pennellata diffonde colore affetto dal virus della difformità

E in ogni pennellata di quel colore affetto da virus, pieno di tossicità e di mordace velenosità, infettivo, noi vi vediamo una forma deflorata dalla decadenza di ogni valore umano, da ogni progresso ragionato della distruzione e da un arbitrio di razionalità in cui si ravviva l’incapacità di ricostruire l’uomo.

L’uomo è una divinità decaduta, preda del maligno di un mondo da se stesso straziato

E per l’Espressionismo… l’uomo è una divinità decaduta, costretta a errare in un tempo non più eroico, ma turbato dai capziosi avvenimenti storici che gli si ritorcono contro. E non è certamente un caso che in un’opera pittorica espressionista tutto appaia come prelevato dal vomito di un maligno, perché ciò che preme all’opera dichiarare è anche la malignità che equivocamente vive in un mondo da se stesso straziato. Cosicché apprendiamo, da un’opera espressionista, che solo la malignità è coraggiosa, e fa di ogni materia umana il risultato di un odio da tutti odiato.

fabio d'ambrosio editore
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