Saggio sopra l'espressionismo

il percorso di un proiettile

La descrizione di corpi offesi, la sconfitta della carne

Con l’Espressionismo non è raro che la parola si lasci impinguare dalle viscere o soperchiare da una descrizione anatomizzata. Vi si descrivono corpi offesi, ove la sconfitta della carne diviene l’affermazione di un’architettura anatomica su cui predomina l’azione di un microcosmo (il corpo) giustiziato dagli accidenti della storia.

Il corpo decomposto incarnazione della storia sociale

La decomponibilità muscolare, sintonizzata su un linguaggio mosso da una prospettiva medico-scientifica, diviene non solo la convergenza della disgregazione dell’individuo, dissezionato dalla sua appartenenza a una materia umana colta nella sua domanda di autodistruzione, ma anche la schiacciante percezione dell’incarnazione di un’attuazione concreta della storia sociale degli uomini (in senso lato), che emette per sé tattiche di sopravvivenza mediante il ricorso alle proprie assurde ragioni.

Il percorso di un proiettile di Döblin

La descrizione, di Alfred Döblin, del percorso di un proiettile che ha perforato il corpo di un giovane pilota, si sviluppa linguisticamente secondo la fraseologia che di norma si adotta per la diagnostica riportata da una cartella clinica.

Linguaggio clinico per una vivisezione in forma di autopsia

Passo per passo viene descritto il tragitto del proiettile all’interno del corpo, quasi a voler infierire sul lettore (riconsegnandogli al vero quell’effetto lacerante) con una fraseologia che dà fiato a una vivisezione (eseguita in forma di autopsia), dall’acre odore di un linguaggio necròfago: la minuzia descrittiva pare infatti autocompiacersi con parole che sembrano alimentarsi di quel corpo, e non è neppure lontana dal calarsi nel ruolo di un patologo affetto da necrosadismo;

Sadica virulenza descrittiva

la narrazione è impressionante perché è stata particolareggiata con una virulenza descrittiva sadica, freddata da una descrizione minuziosa e dettagliata; sadica perché vuole crudamente colpire il lettore, metterlo di fronte a un fatto atroce, affliggendolo con una mordente terminologia clinica.

In una stanza mortuaria, la decomposizione esistenziale

Prima di metterci di fronte all’autopsia, Döblin ci conduce nell’ambiente.
La stanza, dove avviene il fatto, è già una stanza mortuaria, in cui altri corpi di uomini respirano e soffrono: qui si allude a una decomposizione esistenziale: la monotonia di «una giornata come un’altra» ci introduce in un’atmosfera che, universalisticamente, scorre melanconicamente verso la fine.
La luce del mattino, prima «grigia» e poi «chiara», mostra con la sua luminosità uomini ancora vivi che spirano e soffrono. Poi, al sopraggiungere del buio e della notte, nell’ora in cui la luce va morendo, ecco uno
che sta morendo.

Alfred Döblin, Novembre 1918. Una rivoluzione tedesca. Borghesi e soldati. Einaudi, Torino 1982, p.9

Nella stanzetta veniva a poco a poco una giornata come un’altra. Da quando c’era quella stanza e si aprivano quelle finestre, il mattino la faceva grigia, poi chiara, e poi sempre più chiara. La luce del sole vi penetrava alle undici, quando gli alberi, dall’altra parte del cortile, riducevano la propria ombra. Poi il sole si allontanava, e quella magnificenza durava ancora un’ora, mentre gli uomini respiravano e soffrivano nella stanza. Poi tutto diveniva cupo. Veniva buio, era notte. Ora ce n’era uno che giaceva lí e che stava morendo.

Il «carrello di medicazione» prefigura la lacerazione

È l’ora in cui la stanza si sàtura di esalazioni da medicature. L’elenco del materiale medicamentoso, contenuto dal «carrello di medicazione», ci approssima, preliminarmente, a un’atmosfera ambulatoriale già pregna di un olezzo di corpo prossimo alla maleolente lacerazione della fine.

Alfred Döblin, Novembre… p.9

Il carrello di medicazione, quando l’infermiera rientrò in punta di piedi, era sotto alla finestra accanto al letto, bonario, pacifico e incoraggiante con la sua superficie di vetro coperta di bianco. Nelle bacinelle e vaschette c’erano bisturi lucidi e sterilizzati, pinzette, forbici, pinze emostatiche e materiale per suture. Gli altri recipienti di vetro erano colmi di batuffoli di cotone idrofilo. In basso c’erano forbici da ingessatura e garze. Così il buon carrello da medicazione aspettava sotto la finestra, e le sue parti metalliche scintillavano. Esso era entrato nella stanza scorrendo sopra gambe candide e piccoli dischi di gomma rossa. L’infermiera bionda si mise vicino al letto, ma davanti al carrello per coprirlo con la sua persona. Era costretta a star lì, non poteva fuggire, la morte la invocava.

L’esatta diagnosi è ingannevole speranza e metafora morta

Poi, è la volta della cronaca. Il racconto del «giovanotto» colpito dal proiettile puzza di visceralità fredda e giornalisticamente-clinicamente documentata: l’esatta diagnosi si fa squassante, proponendosi metafora di una guerra insensata, di fronte alla quale sperare in una società d’uomini migliore… è ingannevole speranza e metafora morta. Non resta, dunque, che porsi cinicamente fra l’automatismo di un agire professionale che il proprio lavoro quotidiano richiede («dunque sciacquare, lavare il peritoneo, ipodermochisi»), e l’inutile adagio «la speranza è l’ultima a morire: forse se la cava».

Alfred Döblin, Novembre… p.9

Non era successo gran che, a quel giovanotto. Era decollato come osservatore per un volo di ricognizione, la mitragliatrice di un pilota nemico aveva aperto il fuoco; e uno dei proiettili, mentre essi volavano a più di 100 chilometri, aveva preso la via del suo corpo. Un secondo prima, quando egli non era ancora seduto, avrebbe trovato il posto vuoto. Il piombo rotondo sibilò attraverso la cintura, la giacca, i pantaloni del giovane e non trovò resistenza, nemmeno sulla pelle morbida che nessuna amante aveva ancora toccata.

Il proiettile affonda nel corpo quasi fosse il suo stato naturale

Vi sprofondò come se quello fosse stato il suo luogo naturale. Penetrò dal mondo esterno in quel corpo morbido, come la radice di una pianta entro la terra smossa. Nel suo cammino incontrò il peritoneo, liscio come uno specchio, e vi aperse una minuscola fessura. Gli intestini lunghi e sottili erano in moto, e non si contrassero quando il proiettile li raggiunse. Andava troppo svelto, lui; li attraversò e nel suo passaggio verificò il liquido impasto che, dopo la colazione, li
percorreva. Il proiettile non asportò nulla. Attraversò l’intestino. Oltre quello palpitava un grande organo dove gorgogliava e batteva il sangue spinto dal cuore. Il proiettile ne assaggiò appena un po’ e si piantò ancora oltre, nell’osso, una vertebra; e lì rimase confitto. Intanto, insieme con l’uomo nel quale era penetrato, esso si era allontanato di molto dalla mitragliatrice che aveva esploso. Quando l’uomo arrivò, fu slegato dalle cinghie e c’era chi si dava molto da fare intorno a lui, senza ch’egli se ne accorgesse. Si cavò la pallottola dal suo nascondiglio, si poté reperire tutte le lesioni e chiuderle.

Il gioco della sorte per la pallottola estratta

Il piccolo chirurgo, sempre pronto a scherzare, levò il capo facendo ruotare la pallottola tra due dita, con le mani coperte dai guanti di gomma: -Dunque, a chi la diamo oggi?- Due infermiere risposero, una dopo l’altra: -A me!- Il dottore, mentre continuava a lavorare nelle cavità del corpo (aveva lasciato cadere la pallottola nella vaschetta), mormorò: -Allora si tira a sorte-. Una delle infermiere sospirò: -Oh, io perdo sempre!- L’operatore si fece raddrizzare lo specchio frontale, mormorando dietro il bavaglio di garza: -Lei non è la sola, a perdere.

Persa la guerra, persi noi, perso quest’uomo

Persa la guerra, persi noi, perso quest’uomo. Dunque sciacquare, lavare il peritoneo, ipodermoclisi; forse se la cava.

Allegoria della carogna

Infine è la descrizione allegorica di un corpo ormai votato alla vegetazione mortifera di sé, già necròfago, pronto a cibarsi della propria carogna;
foresta di carne che si ciba di sangue muffito:

Alfred Döblin, Novembre… pp.11-12

Nelle vene dell’uomo eran migrate le muffe…
Il malato restò solo col suo delirio. I delicati vegetali che la pallottola di piombo aveva portato dall’aria e dalla giacca dentro il suo corpo, ora glielo stavano invadendo. Fasciavano gli intestini col suo torbido fiato e ne offuscavano lo splendore. Fiocchi grigi calavano negli spazi fra i visceri, che ancora si contraevano, si alzavano e si abbassavano.

Le muffe che si nutrono del corpo

Nelle vene dell’uomo eran migrate le muffe e allegramente si eran lasciate trascinare dalla calda corrente del sangue. E come si beavano ora nel dolce succo! Era pur differente dalla vita nell’aria fredda o sul panno militare. Come un’orchestra che ha aspettato il cenno del direttore, s’eran messe tempestosamente in moto. Ora l’uomo era divenuto un’enorme volta cava, dove risuonava la loro musica. Giaceva lì disfatto, in sudore. Sulle pareti della volta strisciano piante rampicanti, penzolano nel vuoto, è una foresta vergine, tropicale, dove s’arrampicano scimmie, mostri dai colli vizzi, che sorgono dalle paludi; i colibrì frecciano via, con i loro becchi curvi, le piante porgono i loro fiori sgargianti che saettano sottili lingue rosse. Ora un organo suona e dalla scala musicale scendono uomini in abito talare. Traggono dietro di sé lunghi strascichi, predicano, ammoniscono, è un lungo canto nero.
Fuori la luce grigia del giorno si fa più chiara. Le ore vengono avanti. Un giorno si è messo in moto, il 10 novembre, domenica. Radi raggi di sole strisciano verso il letto.

Un corpo inghiottito dall’interno

Le infermiere vengono, sollevano la testa del pilota, porgono vino alla sua bocca. Il suo viso -quale viso!- si fa più lungo e sempre più lungo. Le sue labbra si disfanno. Non apre la bocca. Chiamano. Lo invocano.
Ma la foresta lo ha inghiottito.

fabio d'ambrosio editore
via enrico cialdini, 74 - 20161 milano | p.iva 09349370156
sopralespressionismo

GRATIS
VISUALIZZA