Il Brutto è ciò che aggiunge; il Bello, come l’eleganza, è ciò che si abbiglia e si orna togliendo o aggiungendo -a seconda dei casi. Il Bello mútila la natura, togliendo alla sua forma ciò che giudica il suo fallimento: l’immane
comunità delle sue asperità.
Il Bello è la realizzazione di una forma senz’anima e senza corpo. Non ha dell’anima la rivolta di un pensiero controcorrente, che induca a determinare l’essenzialità di un pensato predestinato a suscitare fastidio al già pensato; non ha del corpo l’intelligenza della corporalità con tutte le sue ossessioni e i suoi smarrimenti.
Il Bello mira a una forma ridotta al macchinismo di una linearità (come superficialità) senza ossigeno vitale, fredda, designata alla dittatura di una superficie che si automitizza e si fa pubblicitaria. Si assegna cioè il ruolo di pubblicizzare la propria individualità formale, sostenitrice di una estetica indottrinata dall’autoritarietà tecnocratica. Il Bello è immobile e invalicabile, è il singolo teocratico, bagnato dall’eternità extraumana e dall’astratto.
Il Brutto è il luogo in cui il tempo esprime il suo tempo: il mondo reale mostra le sue quotidiane miserie su cui vi scorrono, inattuabili, le utopie.
Il Bello è ciò che appartiene all’immaginario collettivo: forma apollinea tutta dedita a visualizzare la sua inoppugnabile convenzionalità formale.
Il Brutto è ciò che si discosta dai desiderata dell’immaginario collettivo:
è il linguaggio naturale del naturale; non è la voce di un mondo artificiale o reso tale dal controllo numerico di un’operazione astrattiva, ma la voce delle viscere della terra, l’urlo biologico ed emotivo dello ctònio, è l’ambivalente, l’alterazione umorale, provocata dal potere dell’utero della Madre-terra, che nulla lascia tranquillo nell’equilibrio metallico di una artificialità apollinea, che tutto sconvolge, rivendicando i propri dolori e le proprie gioie, provocati da una carne che sanguina, suda, cresce e si decompone, che vive insomma gli irrefrenabili paradossi della vita.
L’Apollineo è l’emblema di una forma meccanica e cerebrale, distaccata dalle azioni del mondo: protetta dalla forma drammatica del Brutto, è la fredda logica calcolatrice che tiene a bada gli spiriti maligni dell’inconscio, e i difetti dell’esistenza.
L’Apollineo è il Bello che si è fatto a immagine e somiglianza di un dio, è una forma alleata col desiderio di dominio dell’uomo, ed è ciò che mette in risalto il desiderio dell’uomo di diventare un tutt’uno con l’idea di eternità; è quella forma che mira a eliminare in sé ogni forma di guasto, per difetto di pensiero.
La forma apollinea è un giocattolo della mente; la mente ha voluto giocare con la forma, fornendole una corporalità androide che, pur essendo simile all’uomo, nulla ha di umano.
È l’Apollo del Belvedere, un umanoide artificiale, privo di corpo umano, liscio e levigato, un freddo simulacro in posa, sterilito dalla totale mancanza di partecipazione alle vicende terrene.