Saggio sopra l'espressionismo

il Bello e il Sublime

Un Bello universale non esiste

Si può forse affermare che esiste un Bello assoluto, o che l’idea di bello possa essere dispoticamente supportato da una stima e da un giudizio attraverso i quali diviene predominante un’opinione universale? Tutte le tipologie
di sensazioni, di pensiero, di osservazione, di visione ci dicono di no. Ogni cosa nella vita lascia intendere il suo trascorrere, la sua opposizione a una idea di esistenza eternizzata.

La vita elimina il concetto di assoluto

La vita stessa (attraversata dal sopravanzare del transeunte) ci elimina qualsiasi concetto che rimandi all’ideale assoluto. Il tempo è senza terminazione, è segnato dall’estensione di uno spazio marginalizzato nella caducità, nella deteriorabilità: nulla in esso è incorruttibile. In esso, quotidianamente e storicamente ci si divide, ci si disprezza, ci si annichilisce.

Il Bello assoluto è inconciliabile con la caducità della vita

Non v’è conciliazione nell’esistenza tra Bello assoluto e caducità. L’infinito ci rovescia addosso la misura dei conflitti universali, il continuo farsi e rifarsi delle sue metamorfosi, delle sue alterazioni di forma e di vita.

Friedrich Nietzsche, Umano troppo umano (vol.I)… p.115

Col tentativo di imprimere sul Bello un concetto in grado di restituirci un’idealità (etica e morale) universalizzata, vorremmo destinarci alla felicità.
Infatti «dell’essere belli: ci immaginiamo che molta felicità debba andare a ciò congiunta. Ma è un errore».
È per questo che nell’Espressionismo la sofferenza si dichiara sempre sofferente, che la sua arte palesa deliberatamente le funeste e tragiche contraddizioni dell’uomo e della società borghese, dell’uomo affrancato non più dalla luce del sole ma dalla sua ombra.

La vita non è abbastanza positiva per essere felici

Per l’Espressionismo, nell’insondabile inconscio dell’uomo, nell’effimera modernità di una società borghese, condannata alla vacuità e alla monotonia, non v’è sufficiente positività che conduca a lambire la felicità. L’esistenza -per l’Espressionismo- làcera, apre
ferite, rende il Bello e il Brutto inconciliabili, porta l’uomo al culmine dell’impossibilità di conciliarsi col mondo.
L’estetica, che s’indirizzava al classicismo, delineava un concetto di Bello che aspirava all’educazione, alla simmetria e all’ordine proporzionato, da intendere come sentimento di concordia e dispostezza. Ma, dato che

Immanuel Kant, Osservazioni sul sentimento del bello e del sublime. Fabbri, Milano 1998, p.79

le diverse sensazioni del piacere e del dispiacere si fondono non tanto sulla natura delle cose esteriori che le producono, quanto sull’attitudine, connaturale in ogni uomo, di riceverne soddisfazione o insoddisfazione

La nuova estetica del Romanticismo fondata sull’inquietudine

ecco allora il Romanticismo -molto prima dell’Espressionismo- porsi all’edificazione di una nuova estetica fondata su sensazioni procellose, su inquietudini come cieli in rabbuffamento ed elementi naturali in grande agitazione.

L’artista dà forza alle espressioni furiose e incomprensibili della natura

Con il Romanticismo il fortunale e il turbinío entrano anche nell’attività concettuale dell’artista; l’artista può indossare ogni aspetto tormentoso e fortunoso della vita; può sentire su di sé l’azione prometeica di una natura aspra, incolta e inospitale; vuole dar forza alle espressioni furiose e incomprensibili della natura. Cerca in essa i valori vitali di una geometria in relazione alle forme organiche della creazione e dei suoi misteri. Crea ad immagine di un’anima che si perde nella liberazione del proprio appetito sensibile.

Esaltazione del pathos del Sublime

Si lascia infiammare dall’esaltazione di un pathos intramato con una
predilezione del Sublime, poiché

Immanuel Kant, Osservazioni sul sentimento… p.84

la commozione del sublime è più forte di quella del bello.

Il Sublime: lo spirituale che si affranca con la riflessione

Il Sublime è interessato alla profondità del visibile, non è causato da uno stato d’animo permanente, e non costituisce un pensiero che proviene dalla stabilità dell’immanente, ma è lo spirituale che si affranca con la riflessione e la visione concepita da un magato delirio, che scende nella trepidazione di chi si trovi come sull’orlo di un abisso.
Il Sublime porta a una forma estetica mai definita del tutto, mai creata secondo un equilibrio divino, mai del tutto sostenuta da una fondata ponderazione razionale.

Perfetta corrispondenza tra piacere e dolore

Esso emerge dalla perfetta corrispondenza fra il piacere
che attraversa il dolore (il piacere -nel romantico- spesso affluisce dal supplizio dell’inquietudine e dell’angoscia) e il dolore che attraversa il piacere (non v’è romantico in cui non troviamo un dolore che non affluisca dal piacevole inebriamento della malinconia e del contristamento).
Il Sublime è: sia sconsolante e bruciante, sia mestamente amabile nella sua afflittiva passione. Il Sublime e il Bello trovano secondo Kant risposte in un «sentimento raffinato».

Immanuel Kant, Ossservazioni sul sentimento… pp.80-81

Il sentimento raffinato… si distingue anzitutto in due specie: il sentimento del sublime e il sentimento del bello. Ambedue provocano nell’animo una deliziosa commozione, ma in modo completamente diverso.

Il sentimento raffinato distingue il sublime e il bello

La visione di un monte le cui cime innevate si levano sopra le nubi, la descrizione dell’infuriare di una tempesta, oppure la rappresentazione del regno infernale di Milton suscitano piacere misto a terrore: invece, l’occhio che spazia su prati in fiore, valli percorse da rivi serpeggianti, disseminate di greggi al pascolo, la descrizione dell’Eliso oppure la raffigurazione della cintura di Venere in Omero, procurano anch’esse sensazioni deliziose, però liete e aperte al sorriso. Per far sì che le impressioni del primo tipo possano verificarsi in noi con la dovuta intensità, dobbiamo avere un sentimento del sublime; per godere quelle del secondo tipo in modo adeguato, un sentimento del bello.

Il sublime è la notte, il bello è il giorno

Alte querce e ombre solitarie in un bosco sacro sono sublimi, le aiole fiorite, le siepi basse, gli alberi potati a figura sono belli; sublime è la notte, bello il giorno. I temperamenti che possiedono un sentimento del sublime vengono dal calmo silenzio di una sera d’estate, quando la luce tremolante delle stelle fende le ombre brune della notte e la luna solitaria posa all’orizzonte, portati gradatamente ad un eccelso senso d’amicizia, di disprezzo del mondo, di eternità. Lo splendore del giorno ispira alacrità solerte e sentimenti gioiosi.

Il sublime commuove, il bello attrae

Il sublime commuove, il bello attrae. Nelle sembianze, l’uomo in preda al sentimento del sublime è serio, a volte immoto e attonito; invece, la vivace sensazione del bello si annunzia con la serenità di occhi luminosi, con tratti ridenti e spesso anche con espansiva allegria.

Il sublime si esprime in forme diverse: terrifico, nobile, solenne

Il sublime dal canto suo si esprime in forme diverse: a volte il sentimento si accompagna a sensazioni di terrore o anche di malinconia, in altri casi soltanto a pacata ammirazione e in altri ancora a bellezza che s’irradia con intensità sublime. Chiamerò il primo il sublime-terrifico, il secondo il sublime-nobile, il terzo il sublime-solenne. Una solitudine profonda è sublime, ma di un sublime terribile.

Il Sublime romantico cerca il terrífico

Nel Sublime il romantico cerca la fisionomia del terrífico e dello sgomentevole. È per un paesaggio boscoso, o brullo, o disabitato. Ama il tèrreo, il fero, l’erratico, il gemmifero o lo sterposo. Si commuove guardando da un dirupo, da una cresta, da un’aspra ed erta rupe. Il suo pensiero va per caverne, per declivi, per forre, per vàlichi, per cime dirupate e impèrvie.

Per il Romanticismo la bellezza è nell’irregolarità

Per il Romanticismo la bellezza va dunque cercata nello spirito inquietante degli elementi di una natura che fluisce aderente all’irregolarità, alla configurazione di un flusso cosmico, il cui cammino verso l’inarrestabile indefinitezza porta a imboccare un’estetica sottolineata dall’incisività di una forma che si delinea non nell’ornamento fine a se stesso, ma da una creazione come ricercata nell’effetto provocato dalla congestione di un dèdalo sconcertato e di un caos convulso.

Lo spirito romantico si libera dalla quotidianità

Lo spirito romantico vuole liberarsi nell’errante. Esso si colloca nella seduzione di una totale liberazione dalle pastoie nullificanti della quotidianità, si butta compiutamente nell’ambiguità dell’incompiuto, si converte nella tensione drammatica del recòndito e dell’inconoscibile.

L’armonia della disarmonia

Col Romanticismo non si cerca più la proporzione, la misura moderata, la forma commisurata al metro e all’equivalenza calcolata delle parti. L’orchestrazione del sòbrio e del compassato viene sostituita dall’originarsi dell’imperfetta armonia della disarmonia. Siamo all’intuizione del Sublime:
– desacralizzazione di un sentimento artistico votato alla raffigurazione di uno scenario mite, moderato;
– estetica non più legata alla leggerezza di un’armonia formale, consegnata a un incorruttibile equilibrio.

Attrazione verso il singolare e il meraviglioso

Il Sublime trasporta allo sgomento cosmico, all’esorbitanza dello smisurato, alla titanica e òrrida potenza della natura allo stato verginale; all’attrazione verso il singolare e il meraviglioso, alla supremazia del celato sullo svelato, al dispiegamento di una creatività votata all’interpretazione dell’invalicabile, e dell’enigma.

Il Sublime perturba

Il Sublime perturba, affiora dal desiderio risolutivo di superare la visibilità del solo visibile. Cerca il profondo, l’interiore, l’arcano… e perciò eccita e conturba, sgomenta e atterrisce, esàgita e impensierisce.

Il ruolo sociale dell’artista: un essere spirituale al servizio della società

Eppure, in tutta questa sublimazione dell’irriducibile mistero dell’uomo e della natura, il romantico esplèta il ruolo dell’artista quale essere spirituale al servizio
della società.
Inoltre, lo spirito romantico non tralascia di osservare neanche gli esseri minori della natura:

John Keats, All’autunno, in Poeti romantici inglesi. Mondadori, Milano 2005, p.689

Dai salici del fiume sale un coro lamentoso di minuscoli insetti
Sospinti in alto a nugoli dal vento vivo
E sprofondati nel soffio che muore.

Né si sottrae all’amore per gli obblighi civili, né alla libertà di espressione,
né allo sguardo su ogni cosa:

George Byron, Beppo. Una storia veneziana, in Poeti romantici inglesi. Mondadori, Milano 2005, p.497

Amo parlare e meditare a fondo,
Amo il governo (non questo però),
Amo la penna e la libertà d’usarla,
Amo l’Habeas Corpus (quando l’abbiamo),
Amo un dibattito parlamentare
Ma quando non è troppo tardi.
Amo le tasse, quando non sono troppe,
Amo il fuoco di legna, quando non troppo
caro.
Amo le bistecche, piuttosto che niente;
Un boccale di birra non lo rifiuto.
(…)
Dunque io amo tutto e ogni cosa.
L’esercito stabile e i marinai dispersi,
Le tasse dei poveri, la Riforma, il debito
mio e della nazione,
Le nostre piccole risse a mostrare che siamo
liberi,
Le bancarotte sciocche che appaiono sul
giornale,
Il clima corrucciato e le nostre fredde donne:
Queste io dimentico e quelle perdono.
E venero assai le patrie recenti glorie
Nella speranza che esse non siano dei Tories.

Lo spirito romantico è attratto dal declinare del giorno

Il romantico si sente soprattutto a suo agio nel declinare del giorno e della notte. Se la notte è illuna e tenebrosa, il suo spirito d’osservazione si fa rannuvolato e imbronciato, annaspa tra pensieri torbi e foschi, patisce la violenta asimmetria degli opposti, soccombe al loro ostile antagonismo; se la notte splende di luce lunare, il suo spirito sensistico subisce allora una ricca varietà di osservazioni: non gli sfugge lo sfavillío di guizzi luminosi
della luna, riflessa persino sulle minute foglie e fili d’erba; si sofferma sulle diverse intensità e gradazioni emanate da iridescenze cromatiche, irradiate interferenze delle mezzombre e delle saltellanti oscillazioni dei riverberi.

Visione ipersensibile
che entra nella profondità del visibile

La visione del romantico è ipersensibile, per questo la sua sensibilità non vuole stazionare sulla mera superficie del visibile, ma invece attraversarla, inoltrarsi in essa. Spaziare in profondità al visibile vuol dire tanto contraddire ogni forma di deduzione razionalistica quanto esaurirsi sulla percettività dell’appena sensibile. Di qui il romantico è sollecitato a coltivare un’arte e una letteratura dalle inesauribili sfaccettature.

Il romantico vuole percepire le forze della natura

Per il romantico il tentativo di protendere lo sguardo oltre il sensibile vuol dire cercare di muovere la propria percezione entro le forze che la natura governa nei suoi aspetti più ascosi e sotterranei; per questo l’evidenza
dell’evidente, non avendo in relazione al suo apparire nulla di imperscrutabile e di segreto, non lo attrae.

Il visibile ha forme amorfe e contorni sfocati

La ricerca del taciuto lo porta di fronte a un visibile dai contorni sfocati, dalle forme amorfe e confuse, dai colori come prelevati dalla fisionomia del profondo, o dall’insediamento dell’arcano in una natura in rivolta, o nei movimenti di un colore espresso dalla naturalità
di un evento climatico in rivoltolío e sconvolgimento.

Le ombreggiature sottraggono alle cose i contorni netti e la materialità

Ama l’ondeggiamento e le increspature degli effetti luminosi sulle superfici in ombra, l’ombreggiatura caliginosa, offuscata e opaca, luminosità affiochite o radianti di effetti intenebrati, che sottraggono alle cose la linea dal contorno netto, la massa, lo spessore, la materialità delle loro forme.

Lo slancio gotico attrae il romantico che rifugge il razionalismo dell’architettura greca

Il romantico è attratto dal magico e misterico congegno geometrico delle cattedrali gotiche, dal loro impulso formale che si slancia sino alle soglie di un pluralismo di linee, modellato da slanciate pietre, su cui il gioco chiaroscurale, creato dall’ascensione dei pinnacoli e delle guglie, dall’intreccio d’archi acuti e ogivali, costituisce un’architettura che meglio si confà all’ispirazione spirituale dell’ardimento contemplativo del romantico e alla sua brama di lasciarsi rapire dall’arcano, rifuggendo l’edonismo di una geometria architettonica fondata sul razionalismo, com’è difatti quella greca.

Estetica romantica contro i modelli precostituiti

È in maniera decisiva che il Romanticismo íncita la propria estetica a contraddire il fortilízio dei modelli precostituiti, la formulazione dei loro equilibri appianati, la loro maniera di articolarsi come idioma di un pensiero ragionante e rassicurante.

Linguaggio romantico scorre attraverso l’effusione sentimentale

Il Romanticismo scorre attraverso un linguaggio che attinge il proprio svolgimento discorsivo da un’effusione sentimentale che ritualmente e religiosamente si predispone a una prospettiva a rischio: essendo connivente con una visione estatica, obietta il punto di vista razionale, quello che, nel regolare la propria capacità di indagazione della natura, si tiene lontano dagli agenti irrazionali, scanditi
dalle condizioni psicologiche di un pensiero in contemplazione o da una sensibilità spiritualizzata.

Non orchestrato, non prescinde dalla visione cosmica

Esso si lascia cadere non in un linguaggio succintamente orchestrato, speculativamente logico e scientificamente funzionale, come quello illuminista, ma in un linguaggio che pròspera nell’immaterialità ascètica del sentimento, nella possibilità di entrare in un certo grado di contemplazione che gli permetta di non prescindere, nel
creare, dalla visione cosmica.

Messa in dubbio dei valori dell’Illuminismo

Il romantico mette in dubbio i valori propagandati dall’Illuminismo. Essere in un pensiero solo raziocinante, che si tiene distintamente lontano dall’aleatorietà cosmologica di uno stato d’animo spregiudicatamente assorto nell’esaltazione del Sublime, del trascendente, del levato in alto dall’imprevedibile, non è ciò che fa per l’immaginazione esaltata del romantico, né per la sua ispirata ebbrezza. La sua sensibilità è un corso su cui la moltitudine delle sue ispirate visioni si dà a sregolare il funzionamento regolare del pensiero.

Il Romanticismo non vuole l’essenzialità

E perciò non vuole che la sua forma estetica assuma la fisionomia dell’essenzialità, né la pienezza strutturale di un pensiero in rapporto unico con il rendimento speculativo della razionalità, né un’armonia condotta funzionalmente all’armonizzazione dei suoi principi estetici.

Una forma estetica che si entusiasma nello smarrirsi nella natura

Il romantico è per una forma estetica che si distragga, che si entusiasmi intensamente nello smarrirsi di fronte alla natura, o nel contemplare in rapimento ciò che lo sguardo non può che abbracciare (del cosmo) indefinitamente.

Illuminismo: dare misura all’illimitato con una visione scientifica del mondo

Se l’Illuminismo aveva con la propria ragione tentato di dare una misura all’illimitato, di avvicinarsi matematicamente alla conoscenza della geometria organica dell’inorganico, di radicalizzare la scienza con l’intento di liberare l’uomo dal fanatismo, dalle sue superstizioni e da ogni forma di preconcetto, mirando a una visione del mondo ben fondata scientificamente,

Romanticismo: l’uomo è il filosofo dubitante che sdegna la ragione umana

il Romanticismo invece -pur perseguendo l’utopia illuminista, che mirava al miglioramento sociale conforme al bene e alla virtù, e a un buon governo
politico ed economico- non disdegnava l’opinabilità e la problematicità del suo stesso essere.

Friedrich Hölderlin, Iperione. Feltrinelli, Milano 1993, p.101

L’uomo è per il Romanticismo quel «filosofo dubitante» a cui Hölderlin associa lo sdegno per l’umana ragione:

Il filosofo dubitante trova contraddizioni e manchevolezze in tutto quello che viene pensato

L’uomo (…) che, durante la sua vita, non ha sentito in sé, almeno una sola volta, la piena, pura bellezza, quando, dentro di lui, le energie del suo essere giocavano, come i colori dell’arcobaleno, in reciproco intreccio, che mai ebbe a provare come, nell’ora dell’entusiasmo, tutto ritrovi un’intima armonia, quell’uomo non diventerà mai un filosofo dubitante; il suo spirito non è fatto per abbattere e tanto meno per costruire. Credetemi, chi dubita trova contraddizioni
e manchevolezze in tutto quello che viene pensato solo perché egli conosce l’armonia della perfetta bellezza, che non è mai pensata. Il pane secco che la ragione umana gli offre con buone intenzioni, egli lo sdegna soltanto perché banchetta segretamente alla tavola degli dei.

Il linguaggio illuminista, dominato dalla ragione, è inespressivo

Ristabilito dalla ragione, il linguaggio veniva di necessità riordinato dall’Illuminismo senza l’influenza di un’espressività tendente al chiaroscuro sublimato, né all’ambiguità delle ombre e dei contrasti luminosi.
La ratio di un linguaggio immolato alla chiarezza, alla intelligibilità, alla precisione di stile, trattenuto su una linearità priva di preziosismi, di atticismi, mirava a rimuovere da sé il concetto precario, l’abbandono al disordine e al visionario.

Linguaggio illuminista levigato come l’Apollineo greco

Il linguaggio illuminista evoca la levigatezza sostanziale dell’Apollineo greco.
La sua trama lessicale deve muoversi su un’impronta semantica dichiaratamente geometrica; il discorso deve comunicare con un linguaggio non più valorizzato da un lessico personalizzato ma spersonalizzato, cioè deve
essere fedele a una comunicazione più idonea a comunicare, a farsi comprendere. Si disapprova quindi la frase ricurva, la liquidità delle immagini poetiche, il concetto influenzato da un certo misticismo, il discorso prolisso e smarginato.

L’immediata comunicazione degli enciclopedisti

Gli enciclopedisti miravano ad essere esatti nelle loro formulazioni concettuali e scientifiche. Il linguaggio doveva agevolare la comprensione di un concetto o di una qualsivoglia teoria scientifica. Non mirava a incidere sul discorso sfumature vaghe ed oscure, o estatiche verticalizzazioni, ma un periodare strutturato da una orizzontalità lineare, dalle parole súbito riconoscibili e dai concetti di immediata comprensione.

Il linguaggio romantico frantumato, visionario, decadente, ebbro

Contrariamente al linguaggio illuminista, quello romantico si apre alla volubilità dei sensi, a una realtà trasgressivamente rovesciata, sempre fluttuante tra immagini precarie. Perciò predilige la decadenza della parola, quella che si dichiara ora balbettata da un fondo che è tutto in frantumi, a causa di un’ebbrezza delirante (come si evince dai Frammenti di Hölderlin), ora presa nel vortice vertiginoso di un impellente bisogno di urlare alla società il disdegno nei riguardi di un cattivo, corrotto e ingiusto governo sociale (com’è, ad esempio, nella prosa fluviale di Hugo).

L’arte romantica si ispira all’enigma dell’infinito

Se nell’arte classicista la forma appartiene  all’assolutezza di un ordine canonizzato, che respinge (dai suoi fondamenti estetici) sia la manifestazione
dell’esistenza del cadúco sia l’aleatorietà di un gioco esistenziale perturbato dalle contraddizioni umane, nonché l’umana esperienza nutrita dall’avanzante cammino della storia (in cui tutto procede nel continuo proteiforme dell’esistente), nel Romanticismo l’arte si ispira all’impietoso enigma dispiegato dall’infinito.
L’arte non è più fondata (come quella classicista) dall’ortodossía dei canoni precostituiti, ma si rifà all’infinitamente eterogeneo.

La letteratura si libera dai generi e diviene molteplice

Il Romanticismo condivide non solo la difformità, la varietà, la dissonanza, ma anche accomuna tra di loro diversi generi letterari: la letteratura si fa libera di iscriversi in una forma universale e progressiva; si mílita in favore del molteplice e del multiforme, si sabòta l’uniforme conformistico.
Non è un caso infatti che Friedrich Schlegel abbia affermato:

Friedrich Schlegel, Dialogo sulla poesia e Frammenti dell’Atheneaeum (fr.116) in Frammenti critici e scritti di estetica, Sansoni, Firenze 1976, p.64

La poesia romantica è una poesia universale progressiva. Il suo fine non è solo quello di
riunire nuovamente tutti i separati generi poetici e di porre in contatto la poesia con la filosofia e la retorica. Essa vuole, e deve anche, ora mescolare ora combinare poesia e prosa, genialità e critica, poesia d’arte e poesia ingenua, render viva e sociale la poesia, poetica la vita e la società, poetizzare lo spirito (Witz), riempire e saturare le forme dell’arte col più vario e schietto materiale di cultura, e animarle con vibrazioni di humor.
Essa sola può, pari all’epos, divenire uno specchio di tutto il mondo circostante, un’immagine dell’epoca.

Col Romanticismo si scende nell’imperfetta molteplicità di tutto il  mondo circostante. La poesia romantica ci parla di un’esperienza umana che si apre all’umanità intera. Per il Romanticismo

Friedrich Schlegel, Dialogo sulla poesia… p.161

un uomo non è semplicemente soltanto un uomo, ma può e deve essere insieme, realmente e in verità, l’umanità intera. Per questo, l’uomo, sicuro di ritrovar sempre se stesso, torna continuamente ad uscire da sé per cercare e trovare il completamento della sua essenza più intima nella profondità di un altro essere.

Uscire da sé per completarsi nella profondità di un altro essere

Per quest’uomo, che esce da sé in cerca dell’Altro per un completamento della propria essenza, l’arte romantica non accetta vincoli con nessun tipo di forma che non sia la forma della guastazione di ogni tipo di forma che si
fondi sui precetti.

L’arte romantica occulta l’ordine e cerca la profondità

L’arte romantica è per l’occultamento dell’ordine regolante, e di tutto ciò che in superficie risuona di non profondo, di essenza assente,
di costume in posa frivola. Non nomina mai se stessa con una forma precisata, in essa prevale l’addensarsi di segni deliranti, la figuralità di un tempo già passato, eroso dal tempo, il segno dentro la traccia di una passione profana.
Essa ci offre la caduta di un mondo inesorabilmente simulato da una tonalità miseramente disvelata dalla vanificazione di tutto ciò che incombe nello spettacolo dell’umana storia.

Per il Romanticismo l’uomo è insignificante nella storia

Per il Romanticismo è impossibile che l’uomo arrivi nella storia a significare definitivamente qualcosa di significante.
Per quest’uomo, che esce da sé in cerca dell’Altro, per un completamento della propria essenza, l’Io non staziona più definitivamente in se stesso; è per l’autosuperamento, per una coscienza che risponda a una maggiore trepidazione dell’essere più profondo.

L’Io si supera e si realizza a contatto con l’Altro

Realizzandosi fervidamente a contatto con l’Altro, l’Io sconfina, prende le mosse di un movimento progressivo che varchi i limiti, per una desiderata trasmutazione. Cosicché per l’Io l’Altro è l’infinito, è il luogo sconfinato entro cui ritrovarsi a contatto con l’inconoscibile, è il di fuori da cui lasciarsi allargare per poter abbracciare il circostante, è l’essere in espansione e in irradiazione: è l’evasione dall’inaccessibile, è l’effuso e il manifesto di un’esistenza altra.

La ragione non può ignorare percezione sensoriale e indagine psicologica

La geografia della ragione viene vista dai romantici come unidimensionale, e perciò non in grado di riferire speculativamente la sostanziale natura della multidimensionalità del reale; secondo i romantici, la ragione non può prescindere sia dalla percezione sensoriale sia dall’indagine psicologica. Essere a cognizione solo attraverso un sapere dottrinale porterebbe -secondo i romantici- a formulare solo concetti astratti, solo una generalizzazione che nasce astrattamente dalla sistematica negazione del sentimento. L’esperienza umana non può essere riducibile solo a quella razionale.

Una nuova visione
del mondo grazie alla sua conoscenza passionale, intuitiva, istintiva

Per costituire l’originalità di una nuova visione del mondo occorre conoscerlo ed elaborarlo anche passionalmente, intuitivamente, istintivamente. Si fa pertanto riferimento all’Émile di Jean-Jacques Rousseau, in cui si afferma, categoricamente:
«l’uomo che medita è un animale depravato», «lo stato di riflessione è uno stato contro natura».

Rousseau: la riflessione è contro natura

L’allontanamento di Rousseau dall’Io illuminista, inteso antropocentricamente al centro di tutto, è dovuto al fatto che esso non può, limitato alla sola ragione, costituire il principio primo e assoluto del sapere. All’Io razionalizzato antepone: un Io che più non soggiace all’attività impura e insincera della ratio, un Io impregnato di passionali sensazioni e impressioni, di impulsi spontanei e istintivi.

L’Io si smarrisce nel
sentimento

L’Io razionale viene sovrastato da un Io dal desiderio di primitività: non più succube dell’ingannevole e disonesta ragione, l’Io del
romantico aderisce al desiderio di smarrirsi in un sentimento dall’istinto originario, errante, amante del dubbio, dell’ebbrezza estatica, degli smarrimenti.

Il romantico come un fanciullo o un primitivo in sincronia con il mistero del cosmo

Si può dire con Nietzsche, a ragion veduta, che il romantico, catturato violentemente dal sentimento, regredisce a un atto spirituale conciliabile col giuoco e l’osservazione istintiva del fanciullo, e alla primitività di un tempo in cui l’uomo viveva a stretto contatto, emozionalmente, con la floridezza lussureggiante della natura e con l’inesplicabile mistero del cosmo:

Friedrich Nietzsche, Umano troppo umano… pp.118-119

Quando l’arte afferra violentemente un individuo, lo sospinge poi indietro a concezioni di tempi in cui l’arte fioriva nel modo più rigoglioso, essa ha allora un effetto regressivo. L’artista si abbandona sempre più alla venerazione delle emozioni violente, crede in dèi e demoni, anima la natura, odia la scienza, diviene mutevole nei suoi stati d’animo come gli uomini dell’antichità e brama uno sconvolgimento di tutti i rapporti che non sono favorevoli all’arte, e ciò con l’irruenza e l’irragionevolezza di un fanciullo. Ora l’artista è già di per sé un essere rimasto indietro, dato che si è fermato al giuoco, che è proprio della giovinezza e della fanciullezza: a ciò si aggiunge ancora che egli a poco a poco assume regressivamente una forma di altri tempi…

Il romantico è folgorato dal mistero e ama perdersi in esso

Il romantico è folgorato dal mistero e dai suoi sconcertanti abissi. Ama sperdersi in esso, turbarsi, sbigottirsi. L’arcano del cosmo e della natura gli aziona il sentimento, lo coinvolge a individuare e a vederci il rovescio: tutto ciò lo libera dalla costrizione del necessario, ovvero di quel necessario inculcatogli dall’adultità raziocinante dell’uomo di scienza, versato in speculazioni di facile e comodo uso:

Friedrich Nietzsche, Umano troppo umano… pp.118-137

Il rovesciare l’esperienza nel suo contrario, ciò che ha scopo in ciò che ne è privo, il necessario nell’arbitrario, e però in modo che questo fatto non faccia alcun male e venga presentato solo per petulanza, allieta, perché ci libera momentaneamente dalla costrizione del  necessario, dell’opportuno e di ciò che è conforme all’esperienza, cose tutte in cui noi vediamo di solito i nostri inesorabili padroni…

Il sentimento come illusione di felicità terrena

Il sentimento romantico si allea con l’illusione, con una nobiltà d’animo in grado di credere che sia possibile il raggiungimento di una felicità terrena, che sia possibile vivere in una fausta suggestione cosmica da cui trarre ispirazione per un’arte che sia il più aderente possibile alle visioni e agli ardori infiammati da un’impetuoso slancio estatico. Per il romantico diviene importante scaldarsi l’animo a contatto con un mesto pensiero nostalgico.

Liberi dalla costrizione del conforme

Creare altri luoghi che non siano quelli uniformati alla monotonia quotidiana, non essere vincolati alla durata esistenziale dell’oggi, vuol dire per il romantico uscire dalle convenzioni, dalla storia commediante del presente, dalla farsa reale di un’esistenza umana snaturata. Così l’erranza diviene il nocciolo della poetica romantica. Non stazionare nel tepóre dell’oggi, non
ancorarsi allo statico monologo del presente, non discorrere con la corta estensione temporale del qua, non permanere, non essere nell’io sto trattenendomi nel presente come sola presenza del presente, vuol dire essere lontano dall’abitato, dall’effetto retorico di un’accecante quotidianità.

La storia, sincronizzazione tra l’uomo e il cosmo

Tutto quello che nell’umana storia si dà luogo, e sottolinea il trascorrere di eventi in eventi, e si costituisce nell’impegnare l’uomo a sottolineare le
sue gesta, marcando il suo farsi nella persistenza temporale, è per Schlegel (ma anche per il Romanticismo tutto) sincronizzazione fra l’uomo e il cosmo, ed è di un’esistenza universale impronta e stigma che si riflette in ogni sua labile impressione, sempre in divenire.

La poesia romantica deve rifarsi al divenire, mai all’essere

In questa interdipendenza fra la storia (come espressione fra uomo e uomo, fra uomo e ètere, fra l’uomo e l’infinito creato) e l’universo, la poesia non può che rifarsi incessantemente al divenire; non può che ostentare una forma che non si presti all’immutabile, ma al pathos di un fluire nel cangiamento:

Friedrich Schlegel, Dialogo sulla poesia… p.65

La poesia romantica è ancora in divenire; anzi, questa è la sua vera essenza: che può soltanto divenire, mai essere.

La poesia è infinita, e pertanto non può essere caratterizzata da precetti propriamente imposti, «non può venire esaurita da nessuna teoria»:

L’arbitrio del poeta non soffre alcuna legge

Essa sola è infinita, come essa sola è libera, e riconosce come sua legge prima questa: che l’arbitrio del poeta non soffra legge alcuna.

fabio d'ambrosio editore
via enrico cialdini, 74 - 20161 milano | p.iva 09349370156
sopralespressionismo

GRATIS
VISUALIZZA